Ci sono tantissime storie da raccontare in questo primo scampolo di USOpen 2023... così tante che non si sa da dove cominciare. Ho cercato di scovarne una meno raccontata di altre: la storia di Elise Mertens. Non tutta, perché sarebbe lunga e per certi versi complessa. Proverò a farne una summa, che si può sintetizzare facilmente in quelle due...

Richard Gasquet ha appena compiuto trentasettenne anni, essendo nato a Béziers il 18 giugno 1996, e li ha festeggiati con un paio di giorni di anticipo, regalandosi la 600 vittoria in carriera nel torneo di Stoccarda. Vittoria peraltro tutt'altro che scontata, visto che l'ha ottenuta contro Stefanos Tsitsipas, che sarà sì un po' svagato in questo...

Ora che è passato qualche giorno dal giorno del trionfo di Nole, dalla sua impresa epica, di cui tutti giustamente hanno scritto - un po' meno la stampa italica (non è una novità), ma quella straniera sì - può sembrare paradossale scrivere un elogio di Casper Ruud. Ma io credo che, nel suo "piccolo", se lo meriti. L'impresina del Norvegia...

C'è qualcosa nella storia di Karolina Muchova che ricorda la sceneggiatura di un film: uno di quei polpettoni hollywoodiani spesso retorici, fatti di cadute e di riscatto, di sofferenza e di resilienza, di opportunità colte all'ultimo istante e di occasioni mancate per un soffio. Ma questa è una storia vera. E soprattutto il finale è ancora tutto...

Poiché non posso occuparmi ora di tutti e quattro e tutti insieme, per ragioni di età darò oggi spazio ad Anastasia Pavlyuchenkova, non perché oggi abbia vinto ma perché, proprio per via dell'anagrafe, è forse quella che mi offrirà meno occasioni in futuro. Nastia infatti sta per compiere 32 anni e, anche se questo non significa che smetterà quanto...

Fosse un prode italico, probabilmente avremmo visto scritte paginate sull'"epica impresa" o sulla "favola bella"... Ma il protagonista di questa storia è nato Oltralpe, in Austria e precisamente in Stiria, e quindi la sua vicenda a certe latitudini non merita di esser raccontata, se non in quattro righe spicciole per ricordare che Fognini ha perso...

Un anno dopo

25.08.2021

Con le qualificazioni, di cui è scattata ieri la prima giornata, si può dire ormai cominciata la corsa all'ultimo Slam della stagione. E ad oltre un anno di distanza, torno ad occupare un piccolo spazio sul web con le mie considerazioni. Questa volta non si tratta propriamente di una "storia" , in realtà. Ma siccome questo blog era nato per...

"Sofia": anche chi non ha mai studiato il greco sa che significa "sapienza, saggezza". Il nome sembra calzare a pennello alla giovane Kenin, recentissima vincitrice degli Australian Open. Che, a dispetto dei suoi ventun anni, ha dimostrato in campo e fuori un'attitudine da veterana per il modo in cui ha saputo gestire la propria crescita fino...

Nemo propheta in patria è la forma abbreviata, e vulgata, della celebre affermazione nemo propheta acceptus est in patria sua che, secondo i Vangeli, sarebbe stata pronunciata da Gesù Cristo per stigmatizzare la fredda accoglienza dei suoi conterranei; oggi, ci ricorda l'Enciclopedia Treccani, essa è di solito usata per significare che...

L'immagine forse non dice tutto, ma molto sì: Sascha Zverev a capo chino, occhi chiusi perché non sanno dove guardare a cercare la luce, mano e maglietta al volto, a coprirsi, nascondersi quasi. E' solo un fotogramma, un istante di gioco forse dopo un punto sbagliato, ma è il ritratto di un giocatore in difficoltà evidente. Non si può dire...

Un anno dopo


Con le qualificazioni, di cui è scattata ieri la prima giornata, si può dire ormai cominciata la corsa all'ultimo Slam della stagione. E ad oltre un anno di distanza, torno ad occupare un piccolo spazio sul web con le mie considerazioni. Questa volta non si tratta propriamente di una "storia" , in realtà. Ma siccome questo blog era nato per raccontare emozioni tennistiche e, dopo una lunga fase semi-anestetizzata dalla pandemia, oggi sento di nuovo il desiderio di provare a dar voce a quel qualcosa che viene da dentro, mi cimento con la scrittura, anche se per il momento la "storia" ha ancora da essere. 

Si profila un evento un po' strano, privo come sarà della premiata ditta Roger & Rafa (oltreché del Campione in Carica). Non è peraltro la prima volta che capita né di certo sarà l'ultima: anzi, a questa situazione anche i più incrollabili fedeli dovranno abituarsi, visto che l'anagrafe e gli infortuni stanno presentando il loro salato conto proprio nello stesso periodo ai due grandi rivali. Non è detto però che sia necessariamente un male irredimibile: nonostante al momento ci si avvicini all'evento con la diffidenza di un gatto che allunga la zampetta verso l'acqua pronto a ritirarla al primo contatto sgradito, anche questo UsOpen può risultare in qualche modo memorabile, come lo fu quello passato. 

Per alcuni aspetti, infatti, non siamo lontani dalla situazione di un anno fa. Il "dinamico duo" assente da NY, un parterre di campioni Slam ai nastri di partenza ridotto ai minimi termini, vuoi per scelta, vuoi per necessità (niente Stanimal, sir Andy, Delpotro...), il Leitmotiv era allora chiaramente UNO, Nole contro il Resto del Mondo, Nole contro tutti. E sembrava uno Slam senza storia. 

Così si può riassumere anche l'edizione 2021, almeno alla vigilia. Con la non banale differenza che quel "contro tutti" si è arricchito di qualche avversario in più: non solo i 127 in tabellone, ma tutti i concorrenti passati e forse futuri, la Storia, i Record, la Gloria Eterna, dato che - nel frattempo - il Numero Uno si è portato pure lui a quota 20 "Majors" ed è in corsa per il Grande Slam. Per di più i suoi avversari, passati ed odierni, si dilettano a rendergli la vita ancor più difficile, espondendosi unanimemente in suo favore, con un coro di "Il favorito è Lui", ad aumentagli ancora un po' la non trascurabile pressione. 

Non c'è dubbio che lo sia davvero, IL Favorito. Ma lo era anche un anno fa, anzi lo era di più. Il finale sembrava davvero già scritto. Eppure accadde l'imponderabile e ci si trovò con quattro semifinalisti "neofiti", chiunque dei quali avesse vinto sarebbe stato un neo campione Slam. 

A beneficiare di quella irripetibile congiunzione astrale, come si sa, fu Dominic Thiem, al termine di una finale che definire carica di tensione è un pallido eufemismo, ma che ebbe comunque meriti enormi. Ieri l'ho rivista, la partita, anzi a dire il vero vista per la prima volta in versione quasi integrale e...

Be' tecnicamente fu davvero brutta, e anche parecchio: gli estimatori del bel gioco avranno avuto sacrosante ragioni di lamentarsi, gli orfani di Rafa e Roger avranno legittimamente sparso le loro lacrime. Risposte dal parcheggio dell'Arthur Ashe, per di più spesso sbagliate, e quelle rare volte che andavano a segno frustrate da chiamate improvvide dei giudici di linea... Servizi spuntati, seconde che viaggiavano a 80 miglia, doppi falli nei momenti meno opportuni... Attacchi e volee alla spera-in-dio e l'incapacità cronica di cogliere l'attimo... Tutto questo si è visto un anno fa, e non lo dimentichiamo. È vero, nulla da obiettare. 

Però devo dire che, anche un anno dopo, anche sapendone l'esito, quella finale è stata magnetica, da non riuscire a staccarsi, e a tratti davvero coinvolgente, da salivazione azzerata. Quei due dritti di Dominic sul 5-4 per Sascha nel 5' set fanno venire tuttora le stelline agli occhi, alimentando peraltro i rimpianti per quella che avrebbe potuto essere una grande finale, se giocata al meglio... Fatti i dovuti distinguo, è stata un po' somigliante la semifinale di Cincinnati tra Zverev e Tsitsipas di qualche giorno fa: cali di tensione e momenti di down quando si trattava di chiudere la contesa, incapacità di ammazzare (sportivamente) l'avversario in difficoltà, crisi fisiche combattute con resilienza e rifiuto della sconfitta, distribuiti di qua e di là, per quanto non del tutto equamente. A New York un anno fa tutto questo era stato amplificato: dalla posta in palio più alta ovviamente - prima finale Slam per l'uno, prima reale occasione di vincere per l'altro - oltreché da quell'atmosfera surreale di intenso silenzio, uno stadio enorme e vuoto, vuotissimo, in cui ogni sospiro pesava, ogni tentativo di trovar conforto dal pubblico era frustrato in partenza, ogni sguardo alla tribuna desolante, ogni emozione trattenuta e concentrata all'ennesima potenza... È stata questa combinazione di fattori a rendere così disgraziata e nello stesso tempo così memorabile quell'edizione dell'US Open, e quella Finale in particolare. 

È ora? Quest'anno sarà in parte diverso, perché il pubblico ci sarà. Questo forse cambierà qualcosa, nel senso che le emozioni saranno più esibite e meno trattenute. Ma non saranno meno intense, eccome (la succitata semifinale di Cincinnati ne è in un certo modo una conferma, un'anticipazione di quel che potrebbe ripetersi...) e giocheranno un ruolo decisivo. Non sarà solo questione di colpi, di tattica o di risorse fisiche. 

Vincere uno Slam è difficilissimo, si sa: QUELLO Slam in particolare, quello del 2020 voglio dire, è stato emotivamente come scalare l'Everest a mani nude e senza ossigeno: una vera e propria impresa. A un anno di distanza lo si coglie ancor di più. Domi ne ha pagato lo scotto per mesi e comunque, suo malgrado, ora non ci sarà. Toccherà ad un altro, succedergli, il quale dovrà essere enorme... SÌ, ENORME, sportivamente parlando of course, anche perché di nuovo saremo di fronte ad una prima volta importante. In ogni caso, colui scriverà un altro pezzetto di storia: o un record "for the ages" o il 151mo campione Slam. 

Insomma sarà strano, ma potrà avere ugualmente il suo fascino. 


La saggezza di Sofia

"Sofia": anche chi non ha mai studiato il greco sa che significa "sapienza, saggezza". Il nome sembra calzare a pennello alla giovane Kenin, recentissima vincitrice degli Australian Open. Che, a dispetto dei suoi ventun anni, ha dimostrato in campo e fuori un'attitudine da veterana per il modo in cui ha saputo gestire la propria crescita fino all'atto finale e alla conquista di uno dei più prestigiosi trofei del circuito: il titolo Slam. 

E sì che la ragazza ama farsi chiamare Sonya dai familiari e dalle persone care, secondo l'uso di trasformare i nomi in forme affettuose tanto diffuso in Russia, terra d'origine della sua famiglia, dove lei stessa è nata. E così una Darja diventa invariabilmente Dasha e una Marja sarà ovviamente Masha... Ma torniamo a Sofia, che - da personcina assennata quale pare sia - pur preferendo il nomignolo, non ci ha costruito sopra una storia stucchevole con tanto di brand quale la sua più giovane connazionale Cori "Call me Coco" Gauff, che ha già magliette e scarpe personalizzate con siffatto tormentone. 

Va detto peraltro che forse Sofia/Sonya non ne ha anche avuto l'occasione, di fare gran cassa mediatica: perché, diciamoci la verità, fino all'altro ieri non se la filava nessuno o quasi, nemmeno in patria: cosa che peraltro non hanno mancato di sottolineare lei stessa, ma senza particolare astio, e il papà coach, forse più infastidito. 

In realtà però forse questa sottovalutazione mediatica è stato un gran vantaggio per Sofia, arrivata alla ribalta di questi Australian Open da underdog e quindi assai più serena sia delle presunte prossime fenomene USA, come Gauff o Anisimova, sia delle sue avversarie delle fasi conclusive del torneo, come Barty schiacciata dalle attese del pubblico di casa o Muguruza, data unanimemente come favorita per la Finale, forte della sua maggiore esperienza. 

E Sofia, zitta zitta, se l'è andato a prendere lo Slam che nessuno si aspettava da lei in questo momento, dimostrando una freddezza e una capacità di reagire alle difficoltà non comuni davvero, tanto più se si pensa che in vita sua aveva vinto appena tre International. 

Però che la ragazzina avrebbe fatto strada, a ben vedere, si poteva intuirlo da quel dì... Non a caso, ho quest'articolo in canna già da parecchi mesi: mi mancava solo l'occasione per scriverlo senza pretese profetiche. Pensavo ci sarebbe voluto ancora un po' per un grandissimo exploit, sinceramente, perché uno dei tratti caratteristici della saggezza di Sofia è stato, a mio giudizio, il suo percorso graduale. Intendiamoci: che la ragazzina avesse dei numeri era già chiaro dalla sua infanzia. Che fosse cresciuta in ambiente propizio alla sua crescita e al suo successo, pure: una che a sei o sette anni può permettersi di frequentare Andy Roddick, Anna Kournikova o Kim Clijsters, come documentano video e foto tirati fuori dall'archivio di recente ed ormai diventati virali, è una che mastica tennis di altissimo livello fin dalla prima infanzia. Ma quanti ce n'è di ragazzini che frequentano le scuole tennis proclamando che diventeranno numero 1 e vinceranno Slam, coma faceva quella cucciola dagli enormi occhi blu e dai dentini perfettamente allineati che ha conservato ancora oggi? E quanti di loro ce la fanno realmente? È ovvio che, per farcela, non basta dichiararlo... Ci vuole quel "quid" che ti trasformi in qualcosa di più di una semplice promessa. 

Ecco, dicevo, che Sofia fosse più dotata della media era chiaro fin da quando era piccina. Ma poi questo quid bisogna saperlo gestire e far fruttare: ed ecco che entra di nuovo in gioco la saggezza. Certo della famiglia e del papà innanzitutto, fondamentali nel suo caso... E poi della protagonista stessa. 

Che ha un grande merito nel non aver bruciato le tappe. E nell'aver ponderato le sue scelte. Era numero 2 del mondo da junior... Ma ci ha pensato non poco prima di optare per il professionismo, perché aveva aperta anche la porta che portava al college. Una volta intrapresa una certa strada, però dritta, via, senza ripensamenti. E la sua vita è stata consacrata al tennis. 

Un anno fa non era neanche cinquanta al mondo. Poi ha cominciato una scalata vertiginosa, ma nello stesso tempo fatta di piccoli passi. Non è stata - per dire - una Ostapenko che ha vinto come primo titolo proprio lo Slam... No, per Kenin, primo titolo Wta in doppio all'inizio del 2019 (in coppia con la Bouchard... Se è riuscita a far vincere pure lei, dev'essere proprio forte, Sofia!) seguito a stretto giro dal primo trofeo anche in singolare, a Hobart. Altre tre finali nell'annata, una vinta e due perse, com'è giusto che sia in una crescita equilibrata. Qualche scalpo importante: nei mesi della crescita impetuosa e travolgente della 19enne Andreescu, Kenin viene citata spesso per esser stata l'ultima ad averla battuta e al Roland GARROS è ancora lei la giustiziera di una Serena sempre alla caccia del 24esimo Slam. Con ciò ottiene tra l'altro il suo miglior risultato nei major (fin ad oggi, ca va sans dire!). Nell'estate americana, ancora altri passi importanti: semifinale nei prestigiosi Mandatory di Cincinnati e Toronto. E finale di stagione, con partecipazione dalla porta di servizio al Master, dove tra un forfait ed un ritiro, viene chiamata in campo per l'ultima ed ininfluente partita, che - sapendo di non potersi comunque qualificare per la fase successiva - si gioca fino alla morte, pur perdendo di un soffio. 

Personalmente ho imparato a conoscere un po' e ad apprezzare la Kenin tennista proprio in quel frangente. L'avevo già vista qualche volta ma senza particolare attenzione. Anche perché - va detto - Sofia non è esattamente una che ruba l'occhio: di quelle che le guardi e dici "Wow!". Ed anzi, quel suo muoversi spesso a scatti, che la fa sembrare un robottino, e l'aria non proprio amorevole con cui guarda la avversarie non suscitano a prima vista nessuna empatia. Le racchette sbattute a terra e certi urlacci nemmeno. Però la tigna e la grinta che mise in campo quel giorno in cui non serviva a niente vincere, unita a doti di intelligenza tattica che emersero anche in quell'occasione, mi hanno fatto ricredere. E questo Slam lo ha dimostrato: Sofia non è forse uno straordinario fenomeno tecnico, anche se a quel livello sono tutte eccezionali, ma ha una grandissima solidità: non si arrende mai, se si fa prendere dall'ansia spesso trova poi il modo per riannodare le fila, è coraggiosa senza esser scriteriata, ossia fa il suo gioco ma senza tirare tutto e sempre a tutta randa, sa anche rallentare e variare, e sa anche leggere i momenti del match. Se alla sua prima finale Slam non commette nemmeno un doppio fallo, qualcosa vorrà dire... 

Insomma, l'ho già scritto: la porta scritta nel nome, la sua saggezza. E se anche, com'è probabile, ora il successo Slam la travolgerà per qualche settimana o mese, e le farà attraversare fasi di smarrimento e confusione, probabilmente Lei scoverà una via per riemergere. E noi la ritroveremo ancora ad alti livelli. Forse non con assoluta continuità, ma è arrivata in alto per restarci, questo è sicuro. 


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