Editoriali

Un anno dopo

Con le qualificazioni, di cui è scattata ieri la prima giornata, si può dire ormai cominciata la corsa all'ultimo Slam della stagione. E ad oltre un anno di distanza, torno ad occupare un piccolo spazio sul web con le mie considerazioni. Questa volta non si tratta propriamente di una "storia", in realtà. Ma siccome questo blog è nato per raccontare emozioni tennistiche e, dopo una lunga fase semi-anestetizzata dalla pandemia, oggi sento di nuovo il desiderio di provare a dar voce a quel qualcosa che viene da dentro, mi cimento con la scrittura, anche se per il momento la "storia" ha ancora da essere.

Si profila un evento un po' strano, privo come sarà della premiata ditta Roger & Rafa (oltreché del Campione in Carica). Non è peraltro la prima volta che capita né di certo sarà l'ultima: anzi, a questa situazione anche i più incrollabili fedeli dovranno abituarsi, visto che l'anagrafe e gli infortuni stanno presentando il loro salato conto proprio nello stesso periodo ai due grandi rivali. Non è detto però che sia necessariamente un male irredimibile: nonostante al momento ci si avvicini all'evento con la diffidenza di un gatto che allunga la zampetta verso l'acqua pronto a ritirarla al primo contatto sgradito, anche questo UsOpen può risultare in qualche modo memorabile, come lo fu quello passato.

Per alcuni aspetti, infatti, non siamo lontani dalla situazione di un anno fa. Il "dinamico duo" assente da NY, un parterre di campioni Slam ai nastri di partenza ridotto ai minimi termini, vuoi per scelta, vuoi per necessità (niente Stanimal, sir Andy, Delpotro...), il Leitmotiv era allora chiaramente UNO, Nole contro il Resto del Mondo, Nole contro tutti. E sembrava uno Slam senza storia.

Così si può riassumere anche l'edizione 2021, almeno alla vigilia. Con la non banale differenza che quel "contro tutti" si è arricchito di qualche avversario in più: non solo i 127 in tabellone, ma tutti i concorrenti passati e forse futuri, la Storia, i Record, la Gloria Eterna, dato che - nel frattempo - il Numero Uno si è portato pure lui a quota 20 "Majors" ed è in corsa per il Grande Slam. Per di più i suoi avversari, passati ed odierni, si dilettano a rendergli la vita ancor più difficile, espondendosi unanimemente in suo favore, con un coro di "Il favorito è Lui", ad aumentagli ancora un po' la non trascurabile pressione.

Non c'è dubbio che lo sia davvero, IL Favorito. Ma lo era anche un anno fa, anzi lo era di più. Il finale sembrava davvero già scritto. Eppure accadde l'imponderabile e ci si trovò con quattro semifinalisti "neofiti", chiunque dei quali avesse vinto sarebbe stato un neo campione Slam.

A beneficiare di quella irripetibile congiunzione astrale, come si sa, fu Dominic Thiem, al termine di una finale che definire carica di tensione è un pallido eufemismo, ma che ebbe comunque meriti enormi. Ieri l'ho rivista, la partita, anzi a dire il vero vista per la prima volta in versione quasi integrale e...

Be' tecnicamente fu davvero brutta, e anche parecchio: gli estimatori del bel gioco avranno avuto sacrosante ragioni di lamentarsi, gli orfani di Rafa e Roger avranno legittimamente sparso le loro lacrime. Risposte dal parcheggio dell'Arthur Ashe, per di più spesso sbagliate, e quelle rare volte che andavano a segno frustrate da chiamate improvvide dei giudici di linea... Servizi spuntati, seconde che viaggiavano a 80 miglia, doppi falli nei momenti meno opportuni... Attacchi e volee alla spera-in-dio e l'incapacità cronica di cogliere l'attimo... Tutto questo si è visto un anno fa, e non lo dimentichiamo. È vero, nulla da obiettare.

Però devo dire che, anche un anno dopo, anche sapendone l'esito, quella finale è stata magnetica, da non riuscire a staccarsi, e a tratti davvero coinvolgente, da salivazione azzerata. Quei due dritti di Dominic sul 5-4 per Sascha nel 5' set fanno venire tuttora le stelline agli occhi, alimentando peraltro i rimpianti per quella che avrebbe potuto essere una grande finale, se giocata al meglio... Fatti i dovuti distinguo, è stata un po' somigliante la semifinale di Cincinnati tra Zverev e Tsitsipas di qualche giorno fa: cali di tensione e momenti di down quando si trattava di chiudere la contesa, incapacità di ammazzare (sportivamente) l'avversario in difficoltà, crisi fisiche combattute con resilienza e rifiuto della sconfitta, distribuiti di qua e di là, per quanto non del tutto equamente. A New York un anno fa tutto questo era stato amplificato: dalla posta in palio più alta ovviamente - prima finale Slam per l'uno, prima reale occasione di vincere per l'altro - oltreché da quell'atmosfera surreale di intenso silenzio, uno stadio enorme e vuoto, vuotissimo, in cui ogni sospiro pesava, ogni tentativo di trovar conforto dal pubblico era frustrato in partenza, ogni sguardo alla tribuna desolante, ogni emozione trattenuta e concentrata all'ennesima potenza... È stata questa combinazione di fattori a rendere così disgraziata e nello stesso tempo così memorabile quell'edizione dell'US Open, e quella Finale in particolare.

E ora? Quest'anno sarà in parte diverso, perché il pubblico ci sarà. Questo forse cambierà qualcosa, nel senso che le emozioni saranno più esibite e meno trattenute. Ma non saranno meno intense, eccome (la succitata semifinale di Cincinnati ne è in un certo modo una conferma, un'anticipazione di quel che potrebbe ripetersi...) e giocheranno un ruolo decisivo. Non sarà solo questione di colpi, di tattica o di risorse fisiche.

Vincere uno Slam è difficilissimo, si sa: QUELLO Slam in particolare, quello del 2020 voglio dire, è stato emotivamente come scalare l'Everest a mani nude e senza ossigeno: una vera e propria impresa. A un anno di distanza lo si coglie ancor di più. Domi ne ha pagato lo scotto per mesi e comunque, suo malgrado, ora non ci sarà. Toccherà ad un altro, succedergli, il quale dovrà essere enorme... SÌ, ENORME, sportivamente parlando of course, anche perché di nuovo saremo di fronte ad una prima volta importante. In ogni caso, colui scriverà un altro pezzetto di storia: o un record "for the ages" o il 151mo campione Slam.

Insomma sarà strano, ma potrà avere ugualmente il suo fascino...

Editoriale "di neve"

Senza Marcel

Se n'è andato Marcel Hirscher.

Se n'è andato dalla Coppa del Mondo, dallo sport agonistico, dallo sci sciato ad alto livello: quello che è stato la sua vita per più di un decennio, quello che è stato il suo regno. Ora la Coppa del Mondo dovrà cercarsi un nuovo padrone, nuove mani a cui affidare la sfera di cristallo che segna il primato: qualcuno sarà contento - finalmente un po' di suspense! - ma chi negasse che si è aperto un vuoto difficilmente colmabile mentirebbe, o sarebbe in malafede.

Non se ne va solo uno che ha vinto tutto il vincibile, ma uno che ha cambiato le regole del suo sport quanto meno, ma probabilmente non solo. Marcel Hirscher ha portato lo sci ad un livello di professionalità mai sperimentato prima e ha dimostrato che si può avere una continuità prolungata anche in uno sport individuale, per di più soggetto a mille variabili, di terreno, di clima, di materiali. Certo, per arrivare a tale continuità bisogna esser nati fenomeni, avere alle spalle solidissimi mezzi tecnici, fisici e in un certo senso anche economici, disporre di un team collaudato ed affidabile, aver anche un po' di fortuna: Marcel però ci ha insegnato che tutto questo ensamble, coltivato con passione profonda, e feroce cattiveria agonistica, e sfrenato desiderio di primeggiare, e cura maniacale del dettaglio può portare ad instaurare una sorta di dittatura sportiva inscalfibile.

Che però chiede un prezzo altissimo: sicchè a trent'anni puoi renderti conto di non farcela più a dedicarti ad essa così fino in fondo. E allora puoi decidere di dire basta.

Marcel si ritira quando avrebbe potuto vincere ancora: magari non al ritmo sfrenato degli ultimi due anni, ma certamente a livelli più che dignitosi che molti suoi competitori si sognerebbero. Con questa scelta, peraltro, conferma quanto è andato ripetendo per anni: ossia che i record gli interessavano fino ad un certo punto, a che a raggiungere Stenmark non ci pensava proprio. Forse una dose di "maniavantismo" c'era in queste dichiarazioni: ma ora dimostra che non ha bisogno di superare "quel" record per sentirsi un grandissimo, forse il più grande. D'altra parte, otto coppe del mondo consecutive sono qualcosa di difficilmente immaginabile prima di Marcel... e probabilmente anche dopo. Forse lo sci inizierà a dividere le sue ere in a.M. e p.M. (ante Marcel e post Marcel). Anche in questo, la sua carriera ha segnato una svolta, perchè ha alzato l'asticella come solo pochissimi sono stati in grado di fare (e non mi riferisco certo solo al piccolo mondo dello sci). Ecco perché in tanti dei messaggi che i suoi avversari hanno voluto inviargli in questi giorni ricorre il ringraziamento per averli "costretti" a migliorarsi sempre, per poter sperare di confrontarsi davvero con lui.

E "grazie" è una parola che ritorna spessissimo in queste ore in cui avversari sì, ma anche tifosi, appassionati, esperti, giornalisti di tanti paesi salutano l'addio del fenomeno. E questo accade quando ci si rende conto siamo di fronte a qualcosa che non è patrimonio di un nazione o di una disciplina, ma ha saputo diventare in un certo senso universale, capace di trascendere i confini e i limiti. Certo, non parliamo di una figura dalla popolarità planetaria, quella cioè che solo certe discipline sportive consentono. Ma comunque di qualcuno che è andato "oltre": oltre il suo tempo, oltre il suo paese, oltre il suo sport. E tutto questo solo o quasi per i risultati sul campo: perché personaggio, Marcel non lo è mai stato e mai gli è interessato esserlo. "Troppo" serio, "troppo" professionale, "troppo" glaciale, per poter infiammare certi tipi di platee. E anche troppo ferocemente e tenacemente teso a salvaguardare la propria privacy e a scindere rigorosamente il cotè pubblico (ossia quello sportivo) da quello privato: ad oggi, non risultano immagini del suo bambino, e non sappiamo nemmeno come si chiami!

Ma chi ama un po' lo sci, di tutto questo non sentiva minimamente il bisogno: gli bastava guardarlo scendere in pista, con il suo stile tutt'altro che ortodosso, con quella ferocia che gli faceva mangiare i pali in certi tratti e l'intelligenza che gli permetteva di sapere quando, quanto e dove rallentare un minimo per evitare rischi. Vedevi tutto questo e restavi a bocca aperta, con gli occhi sgranati, perché ti sembrava la cosa più facile del mondo, tanta era la sicurezza con cui lo faceva, lui.

Non era sempre stato così: anche lui aveva dovuto imparare. Precoce sì, ma comunque costretto ad una trafila - carriera junior, coppa Europa, primi passi in CdM - da cui ha appreso l'arte di disciplinarsi, di controllarsi, di ragionare. E l'ha appresa talmente bene da poterla poi applicare ad occhi chiusi, negli ultimi anni della sua carriera. Per un po' è stato anche accusato di far troppi calcoli, di puntare a non sbagliare per accumulare i punti necessari alla conquista della grande coppa, di non emozionare insomma: accuse ingenerose, se si pensa a quanto debba essere difficile camminare sempre su un filo teso tra la necessità di arrivare al traguardo e quella di incamerare punti pesanti. Ma anche questo è stato un grande merito di Marcel: è riuscito a far cambiare idea su di sè a parecchi scettici e detrattori. Li ha convinti uno per uno, li ha portati dalla sua parte con la forza dei fatti. E negli ultimi anni ha peraltro dimostrato che, se voleva, poteva vincere a mani basse senza dover usare troppa strategia.

In questo senso l'apoteosi di Marcel Hirscher è stata la stagione 2017-18: quella della settima Coppa, delle tredici vittorie in stagione e dei due ori olimpici. Il tutto, al termine di una preparazione estiva incompleta, interrotta dalla frattura al piede e dalle sei settimane di gesso. In quell'annata Marcel ha corso leggero, pensando solo a dare il meglio di sè ogni volta senza prospettive del tutto definite: e ha fatto il vuoto. Diventando definitivamente leggenda.

Credevo sinceramente che il suo addio sarebbe arrivato allora, perché una stagione del genere non avrebbe potuto mai esser ripetuta. Invece ce ne ha regalata un'altra, altri trionfi, altri allori, altri record. Ma chi l'ha osservato durante tutto l'inverno scorso si era accorto che dovevamo esser prossimi ai titoli di coda: io almeno lo vedevo benissimo. I segnali erano tanti: esposizione mediatica ancor più ridotta rispetto al passato, pochissima interazione social, un'impressione di stanchezza spesso palese, meno sorrisi, meno entusiasmo, ritorni a casa immediati al termine della gara, zero tentativi di superG e combinate per risparmiare al massimo le energie... In pista no, in pista poi era sempre lo stesso, ma era il contorno che denotava la sua voglia di star sempre meno sui luoghi di gara ed esposto al pubblico. E una volta raggiunto l'ultimo oro mondiale, tutta questa stanchezza si è vista persino in gara, con il mese finale della coppa del mondo 2018-19 non all'altezza della sua fama e della sua carriera.

Così la sua ultima vittoria di Coppa del Mondo resterà quella conseguita a Schladming: una gara impressionante in un luogo che per lui significa moltissimo. Lì conquistò la sua prima Cdm con un finale strepitoso; lì vinse il suo primo titolo mondiale in quella che ancora ricorda come la gara più emozionante di tutta la sua vita; lì realizzò una delle sua leggendarie rimonte in quello slalom in cui aveva corso mezza prima manche al buio con le lenti appannate (cos'era, il 2016?).

L'ultimo mesetto di carriera invece è stato un po' un trascinarsi per le piste, nel desiderio spasmodico che tutto finisse al più presto. Tuttavia, di certo, se avesse voluto, Marcel si sarebbe rialzato anche da questo. D'altra parte, uno dei suoi punti di forza, forse per me in assoluto il più degno di ammirazione, è stata la sua straordinaria capacità di risollevarsi dalle batoste e prender forza da esse. Per esempio, é vero che, come ha detto lui, di fatto non ha mai subito infortuni gravi: ma la sua epopea è iniziata nella stagione successiva ad una caviglia rotta ed ha raggiunto il suo clou dopo un incidente analogo. E inoltre ora noi tutti lo ricordiamo come un vincitore seriale e pressoché infallibile, ma non è stato sempre così. Marcel ha ingoiato parecchi rospi prima di prendersi le sue soddisfazioni. Ne ricordo uno su tutti perché per me è stato l'evento decisivo per la mia "storia" con lui: le Olimpiadi di Sochi. Ci arrivava da favoritissimo, già due coppe del mondo in bacheca e una terza in arrivo. Sbagliò, secondo me, strategia, rinunciò alla combinata ed arrivò sul posto un po' troppo tardi. In ogni caso, si sa, mancò non solo la vittoria ma addirittura il podio in un gigante che avrebbe dovuto dominare, e sfiorò poi lo psicodramma quando al termine della I manche di slalom si trovò ancora nelle retrovie, ma nella II seppe tornare se stesso e conquistò un podio, che fu sì amarissimo per lui (voleva solo l'oro), ma dimostrò quanto orgoglio, quanta forza, quanta grandezza albergassero nel suo spirito: è stato allora che io ho iniziato ad amare Marcel, l'ultima (o forse penultima - devo ancora decidere) grandissima passione sportiva, così grande da andare contro la mia regola aurea, ossia la - diciamo - scarsa simpatia per i vincitori seriali. Prima di Marcel, non avevo mai trepidato per le sorti di un Numero Uno, troppo "banale", troppo main stream... Mi ha fatto cambiare idea, lui. Anche se devo dire che gli anni di passione più intensa non sono stati gli ultimissimi, quelli appunto della grandezza riconosciuta e del dominio incontrastato. I miei ricordi personali più intensi restano legati a momenti di difficoltà, per quanto magari brillantemente superati: ricordo meglio l'uscita di pista nello slalom mondiale di Vail (che mi fece letteralmente piegare le ginocchia e per un istante rimanere senza fiato) che l'oro in combinata di quella stessa manifestazione... o l'oro in combinata a Sankt Moritz sfuggito di un centesimo (che pugno al tavolo tirai quella volta!) che la doppietta siglata dopo pochi giorni...

Ma non posso chiudere la mia riflessione sulla carriera di Marcel Hirscher, colui che resterà nella storia dello sport come un vincitore pazzesco, soffermandomi troppo sulle sue defaillances, anche se le voglio citare per ricordare come siamo stati di fronte alla carriera straordinaria di un uomo. Sì, un uomo. Non un computer, una macchina, un robot, come pure tante volte l'hanno apostrofato. Al contrario: la sua grandezza risalta proprio se si considera il fatto che stiamo parlando di un uomo, anzi direi quasi un ragazzo, visti i parametri attuali, e di uno che - non fosse stato per la sua carriera sportiva eccezionale - sarebbe stato tremendamente "normale", sempre vissuto in un paesino di mezza montagna formato da mille anime, sempre con la stessa ragazza al fianco che ha poi sposato e lo ha reso papà, mai sopra le righe, senza montarsi la testa, pur essendo quello che è stato.

Tra cinquanta giorni è in calendario il gigante di Soelden: sarà il primo evento della stagione p.M. Non sarà mai più la stessa cosa.

Editoriale n. 12

Tutti giù per terra

Avevo pensato di copia-incollare il mio editoriale dell'anno passato, parendomi ad un'occhiata superficiale che la vicenda fosse sempre la medesima: e, un po' lo è. Scrivevo che sorteggiare il tabellone di Montecarlo significava riaprire, per l'ennesima stagione, la caccia alla volpe Rafa. E direi che è ancora così: perchè è vero che ormai Nadal va per i 33, che il suo ultimo torneo si è concluso con l'ennesimo ritiro, eccetera eccetera, ma sono le stesse cose che più o meno si dicevano un anno addietro. E poi rispunta la terra rossa e la storia si rinnova, sempre simile, per ancora un'altra stagione...

Però quest'anno c'è una variante non da poco rispetto al recente passato, anzi più d'una. La prima, enorme, è che da allora Nole ha vinto tre Slam... e sembra avere tutte le intenzioni di puntare dritto al quarto, con quel Roland Garros che è sempre stato la sua croce e delizia. Vorrà dire che si concentrerà solo sul bersaglio grosso e mollerà l'osso negli eventi preparatori, considerando i Mille alla stregua di torneini, come pare aver fatto nel Sunshine Double? Oppure vorrà arrivarci carico di certezze e di gloria, e quindi si darà da fare anche nelle settimane precedenti l'Evento? Lo scopriremo un pezzo alla volta.

Quel che è certo è che a Montecarlo non ci sarà, more solito, Roger. Ma ecco l'altra grossa novità, l'altra variante di lusso: a Parigi Fed sembra volerci riprovare e allora qualche passeggiatina sul mattone tritato gli toccherà farla pure prima. Ha puntato su Madrid, il "rosso" più veloce e più adatto a lui; e ripiegherà su Roma, se il torneo spagnolo dovesse andar male. Se ci prova, non è per fare il turista. Certo, da Rafa sul rosso le ha più o meno sempre buscate pure quando era Numero Uno... Non è che ci si possano attendere miracoli. Anche se, in realtà, lui li sta già facendo: 37 primavere abbondanti e due titoli in cascina, l'unico a riuscirci nell'annata in corso.

Altri? Beh, ci sono un sacco di giovani. Alcuni sulla terra bisogna vederli all'opera, perché spesso è tutta un'altra storia. Però qualche credenziale da spendere qualcuno ce l'ha: dall'anno scorso Tsitsi si porta la finale a Barcellona e Shapo la semifinale di Madrid; nella stagione in corso, un certo Auger ha già in saccoccia una Finale di un 500, benchè si tratti del Rio Open, forse il torneo di quella categoria più sfigato in assoluto. La terra sudamericana di febbraio spesso dà indicazioni, ma non esattamente probanti (tra i vincitori di quest'anno, Londero, Cecchinato, Djere, Pella...). E comunque, tornando ai giovani, ci sarebbe un certo Zverev: se si guarda al suo curriculum passato, e alle sue autoproclamazioni, forse il numero due al mondo sulla terra degli ultimi tempi; se si guarda all'inverno appena concluso, apparentemente un'altra vittima della sindrome post Master. Anche perché forse il vero "Numero due" non è Lui, ma quello che almeno una Finale Slam al suo attivo ce l'ha. Guarda caso, proprio al Rolando.

Certo, Dominic Thiem. Che tutti da anni aspettano all'exploit terricolo e zitto zitto ti va a vincere il suo primo Mille ad Indian Wells. Vuol dire che ha fatto il salto di qualità? Be, diciamo che un indizio non fa una prova. Ne aspettiamo ancora un paio. Magari arriveranno presto.

Per ora, però, non posso che concludere riprendendo parola per parola la mia chiusura dell'anno passato: "I primi due Mille di stagione ci hanno insegnato che è bene non avere troppe certezze... A volte, i "miracoli" accadono. Certo, con Rafa in giro sulla terra, un po' meno."

Editoriale n. 1 bis

Off season... snow season

La off season è agli sgoccioli e gli appassionati non vedono l'ora di tuffarsi nel tennis giocato. Per quanto mi riguarda, però, so già che i primi due o tre mesi della nuova annata faticheranno ad acchiapparmi al 100%, vuoi per i fusi australiani che rendono poco fruibile la stagione down-under, vuoi per il locale clima invernale che, pur non essendo certamente gelido, mi fa propendere decisamente per gli sport del ghiaccio e della neve. Insomma, guardo dalla finestra, e mi vien voglia di salire in montagna assai più che su un campo da tennis...

Sicchè già dall'anno scorso mi era balenata l'ipotesi di una parentesi di qualche mese dedicata alle storie di neve. Aspettavo solo l'occasione giusta. E direi che il recente slalom della Coppa del Mondo di sci alpino a Madonna di Campiglio me l'ha offerta: anzi, a dire il vero, me ne ha offerta anche più di una; però cominciamo con il primo esperimento, e poi ... si vedrà!

Partono oggi le mie "Storiedineve"!!!


Editoriale n. 10

Slam nostalgia

Dopo l'ultimo Wimbledon, avevo garantito che mi sarei astenuta dai pronostici della vigilia e sto mantenendo la parola. Però non mi va di aspettare e continuare a tacere fino in fondo allo US Open, quando sarà il tempo dei bilanci e delle pagelle. Mentre continuano le singole Storie, a cui rimando per chi vuol leggere qualche vicenda particolare, nel frattempo si può fare il punto, ora che si è appena completato il primo turno? Sì, certo: anche se il sapore al termine delle prime due giornate non sarà lo stesso che si gusterà alla fine del tutto. Il Roland Garros, dopo un paio di giorni, sembrava lo Slam dei lucky loser, con tutte quelle vicende annesse (i Trungelliti...) che altri hanno raccontato. Ma poi, alla fine della fiera, è stato lo Slam dei Numeri Uno, quello con 11 corone in capo, e quella con 1 sola sì, ma quanto importante. Wimbledon pareva il trionfo delle sorprese, con tutte quelle Teste di Serie subito eliminate, ma alla fin fine ha visto dei vincitori "di ritorno", usciti dalla buca che si erano scavati con le loro stesse mani, ma non certo sorprendenti per chi ne riconosca i meriti sul lungo periodo.

Ok, dunque, cambierà la prospettiva dal Day 2 al Day 14, ma - in fondo - a chi importa? E poi, le scelte scontate le lasciamo ad altri.

Allora, se io devo assegnare un'etichetta a questo Slam fino ad ora, mi verrebbe da dire "nostalgia", per quanto i responsabili di questo mood siano quasi tutti già scomparsi dal tabellone e le loro vicende siano destinate appunto ad essere oscurate da quel che verrà.

Nel settore maschile, almeno a sensazione, mai come quest'anno si sono visti in campo giocatori che hanno annunciato il ritiro: per qualcuno, ultimo anno nel tour, per qualcun altro ultimo torneo, per altri ancora ultimo Slam, ma la sostanza non cambia: fine (tennistica) dichiarata vicinissima da Ferrer, Müller, Mayer, Youzhnij, Bennetteau; e persino Roger ogni tanto accenna a questa possibilità, benchè la posticipi ad un futuro imprecisato, per quanto sempre più vicino! - d'altra parte, è persino più anzianotto di tutti i succitati (solo Bennetteau è anche lui del 1981, ma essendo nato a dicembre aspetta ancora di compiere i 37). Un'intera generazione - Ferrer e Youzhnij sono dell'82, Müller e Mayer dell'83 - sembra prossima al passo d'addio.

Certo, se ne affaccerà un'altra, e un'altra ancora, come sempre, però, in un circuito sempre più omologato, personaggi come questi saranno forse più difficili da scovare. David Ferrer, a lungo "il primo dei secondi", che ha supplito alla mancanza di cenitmetri (e di talento puro) con la sua infaticabilità dentro e fuori del campo; Florian Mayer, con quel suo strano rovescio "in salto" e le palle corte micidiali, 2 quarti Slam ed un titolo ATP nel giardino di Roger (Halle); il "colonnello" Mikhail Youzhnij, 2 semifinali Slam ed un rovescio che era poesia; Gilles Müller, dal minuscolo Lussemburgo, uno dei panda del serve&volley, che ha avuto la costanza di aspettare fino ai 35 per vedere realizzato il suo sogno di un titolo ATP; e ancora Julien Bennetteau, che ha avuto la stessa pazienza, ma non la stessa soddisfazione, con 10 finali perdute su 10, ma quanto meno ha conquistato uno Slam in doppio... Ehi, ma un attimo: il francese ha ancora chances! Tra tutti i vecchierelli pensionandi, è l'unico rimasto nel torneo, avendo avuto la ventura di un primo turno alla sua portata... (Naturalmente scherzo, siamo ai limiti dalla fantascienza, del miracolistico, ma diciamo che - a rigor di logica - questo è quanto).

Se, nel maschile, l'effetto nostalgia è garantito da tutti questi personaggi di un presente che sfuma nel passato al loro ultimo, dignitosissimo, atto, nel femminile riconosciamo lo stesso sapore, ma in vicende in qualche modo opposte, nei ritorni "dal" passato, nel vedere in tabellone nomi come quelli di Patty Schnyder e di Vera Zvonareva. La Storia della Svizzera, 39 anni vissuti pericolosamente, è già on line dal giorno della sua mirabolante qualificazione, che ha fatto passare quasi sotto silenzio quella non altrettanto prodigiosa, ma sicuramente notevole, della Russa; una che, con i suoi 33 anni, al confronto pare quasi una bambina. Ora che Vera ha vinto la sua sfida di primo turno, però, sarà il caso di approfondire anche la sua, di vicenda. E sarà la prossima "Storiaditennis"!

Editoriale n. 9

Mai più pronostici!

Se c'è una cosa che mi ha insegnato quest'ultimo Wimbledon è la seguente: "Smetti di fare pronostici!" Quanto meno per lo Slam su erba. Sulla terra sono andata bene: ma forse era più facile, Rafa non tradisce e le gerarchie sono piuttosto definite. Qui ho fallito miseramente. Ma forse perchè di erba non sono mai stata veramente appassionata, nè quindi competente. E poi, diciamolo: Roger ha sorpreso tutti, e probabilmente anche se stesso, con la sua performance. Nole è stato bravo, ma gli è anche andata bene. e adesso voglio proprio vedere quanta continuità potrà avere, perchè il rischio di una fiammata seguita da un contraccolpo io lo vedo. Sul femminile è inutile esprimersi, che sia un terno al lotto è acclarato e grazie al cielo non ha vinto Serena, perchè altrimenti si sarebbe potuto chiudere tutto per un paio d'anni e aspettare la pensione della primatista Slam.

Adesso siamo in quelle settimane un po' "terra di nessuno", o meglio "terreni per tutti i gusti": ultimo torneo su erba per gli iperspecialisti a Newport, stagioncina estiva su terra per lo più in località balneari o alpine, timidi inizi di cemento per avviare l'estate americana. Indicazioni per l'Us Open? In teoria, proverranno dall'ultima delle tre opzioni. Di fatto, tra quanto accaduto l'altr'anno e quest'ultimo Wimbly, meglio stare alla finestra e aspettare gli eventi. Vero è che sbaglia i pronostici solo chi ha il coraggio di farli, ma mi sembra saggio astenermi per un po'.

Buona estate!

Editoriale n. 8

Waiting for Wimbledon

Gli amanti dell'erba sono finalmente lieti: è il loro mese, la loro stagione. E Wimbledon è alla porte: proprio mentre mi accingo a scrivere, sta iniziando il sorteggio dei tabelloni principali dei Championship. Un buon cronista dovrebbe occuparsi di quelli, per essere "sul pezzo". Vero, ma... a parte che non sono un buon cornista, anche se li seguissi passo passo live, non cambierebbe nulla. Anche se forse quest'anno i sorteggi possono essere più importanti che in altre occasioni: sembra, infatti, che non regnino le certezze di alcune passate edizioni o di altri Slam. Insomma: se al Roland Garros si va abbastanza sul sicuro, quando si pensa ai pronostici, questo Wimbledon offre qualche punto interrogativo in più. Almeno alla vigilia. E almeno in teoria.

A scompaginare il quadro ha contribuito proprio la breve stagione di preparazione, che si va esaurendo in queste ore. Lasciamo da parte l'ultimissima settimana (questa), che spesso fornisce indicazioni fuorvianti (pensiamo all'anno scorso: Pliskova vinse Eastbourne e fu indicata unanimemente tra le favoritissime, ma naufragò al secondo turno; lo stesso Eastbourne vide tornare al successo Djokovic, che però ai Championship si ritrò ai quarti, e Antalya quasi non vale neanche la pena di menzionarlo, dato che fu vinto da Sugita!).

La settimana chiave, per annusare l'aria, di solito è la numero due, specie in campo maschile, con i due "500" di Queen's e Halle: il primo, prestigiosissimo e spesso molto ben frequentato dagli specialisti, e il secondo, regno incontrastato di Re Roger. Almeno fino all'anno del Signore 2018: quando un ragazzotto venuto-di-Croazia, che fino all'altro ieri usava l'erba principalmente per sdraiarsi a prendere il sole, si è permesso il lusso di fare lo sgambetto al King e scippargli il trofeo vinto più volte in carriera. E di scompaginare il quadro, appunto. Perchè, fino alla vigilia dell'appuntamento tedesco, i pareri erano pressochè unanimi: Roger non si discute, sull'erba è il Numero Uno, si è riposato tre mesi, ha preparato Wimbledon con acribia e concentrazione, ha vinto Stoccarda superando avversari non banali... Insomma, le argomentazioni erano tali e tante da indurre a certezze granitiche. Invece, Halle ci ha regalato un Federer diverso, pù nervoso, più legnoso e sicuramente meno efficace. I suoi tifosi si stracciano le vesti... ma ne hanno davvero ben donde? Secondo me, mica tanto. Perchè le argomentazioni di cui sopra sono ancora lì, sul piatto. E una settimana meno perfetta del solito, non le può cancellare d'un tratto.

Viceversa, al Queen's le cose sembrano avrer seguito una logica più "regolare", con la vittoria di Cilic, già finalista su quegli stessi prati oltrechè a Church Road, su un Djokovic che a sprazzi da qualche settimana dà segnali di risveglio. Tutto vero: al Queen's non si vince proprio per caso. Epperò, quante volte il trionfatore di quel torneo ha alzato anche il trofeo più prestigioso qualche settimana dopo? Troppo pochine, direi, perchè Cilic ne tragga ottimi auspici. E Nole, ok, non è in condizioni tragiche come sei mesi fa, però mi permetto due domandine: 1. al Queen's è crollato proprio sul più bello: aveva il match in mano al TB del secondo e commette un doppio fallo sanguinoso, dopo il quale proababilmente smette di credere pure lui al successo: quanta fiducia può avere un giocatore così, che era abituato a schiacciare anche piscologicamente i suoi avversari? (per non rivangare il quarto del Roland Garros... con tutto il rispetto per Cecchinato, ma quale Djokovic ci ha potuto perdere???). 2. Anche fisicamente gli è mancato qualcosa nel terzo set: vero è che da allora sono passate altre settimane, ma vincere sette partite tre set su cinque richiede energie inesauribili: siamo sicuri che Nole le abbia?

Detto ciò, veloce veloce sugli altri: Nadal si è nascosto e nulla se ne sa; da Stoccarda sono usciti benino Raonic e Kyrgios, ma vatti a fidare della loro solidità fisica e mentale; Zverev e Dimitrov non appaiono molto pronti, visto che hanno perso subito o quasi tutt'e due, e piuttosto di brutto, anche se a parziale attenuante loro va detto che le hanno prese dai finalisti dei rispettivi tornei. Poi ci sarà qualche mina vagante, specialista dell'erba, ma non certo tale da arrivare in fondo... e insomma, l'incertezza c'è, ma fino ad un certo punto. Come dissi per la stagione su terra, gira e rigira, i nomi sono poi sempre gli stessi anche per mancanza di alternative.

Sul femminile il discorso è diverso. Lì sì che fare i pronostici è difficile, dacchè Serena non c'è più (sì, adesso sulla carta è tornata, ma siamo seri: è enorme. Non si muove. Se dovesse vincere lei, le altre potrebbero anche ritirarsi tutte in massa). Birmingham ci ha detto un nome su tutti: Petra Kvitova. E, con la stagione che sta disputando, è sicuramente lei la prima carta da giocarsi. Però, occhio agli umori di Petra: una giornata brutta per lei può essere anche catastrofica e se, per esempio, dovesse mettersi a far caldo, sappiamo quanto patisca certe condizioni. La campionessa in carica è Muguruza e quindi dovrebbe essere un altro nome caldo: la stagione di preparazione però dice altro. Il suo caso, tuttavia, è emblematico del caos WTA: capacissima di sonnecchiare per mesi, poi arriva lo Slam e sbanca. in fondo, Wimbledon 2017 l'ha vinto proprio così.

Gli ultimi sette Slam hanno visto sette vincitrici diverse, quattro delle quali al loro primo grande alloro: Ostapenko a Roland Garros e Stephens a US Open 2017, Wozniacki in Australia e Halep a Parigi quest'anno. Non è da escludere che la girandola di nomi e volti nuovi non si arresti proprio ora.

A adesso, andiamo un po' a controllare che cosa sta dicendo il sorteggio. Buon Wimbledon!


Editoriale n. 7

Arriva la terra!

Ed eccoci qui: un'altra stagione sulla terra battuta va a cominciare. Questa settimana, con gli sfigatissimi tornei di Lugano, Bogotà (WTA) e Marrakech (ATP) in corso, uno più bagnato dell'altro, non è che un antipastino, nemmeno un appetizer - anzi, a guardar bene, fa persino scappare un po' la voglia, tra lo scarso appeal dei protagonisti e le condizioni climatiche inclementi in cui si giocano.

Ma pochi minuti fa si è svolto il sorteggio del tabellone di Montecarlo, primo Mille sulla terra... E allora vuol dire che si fa sul serio. Ossia, in altre parole, che è riaperta, per l'ennesima stagione, la caccia alla volpe Rafa. Che però sembra già aver accumulato un bel vantaggio sulla muta degli inseguitori: è bastato l'uno-due sui tedeschi in Davis per bagnare le polveri agli aspiranti successori.

Anche perchè poi, come tutti gli anni, ci si chiede: "Chi sono?". E forse paradossalmente, quest'anno che Nadal va per i 32, più ancora che in passato. Perchè Roger ha già salutato anzi tempo la compagnia, dando appuntamento per l'erba; perchè Nole gioca ma boh?... pensiamo che può esser capace di perdere col numero 100 e fischia, e poi magari dopo un anno e mezzo di agonia arriva e ci frega di nuovo tutti; Stan mmmh... - non aggiungo altro; e i giovani e semigiovani... chissà?! Sascha si è preso una discreta stesa in Davis, Grischa è ancora stordito dai festeggiamenti del master e comunque sulla terra non ha mai combinato una mazza, Marin più o meno idem (a parte i festeggiamenti!), e gli altri? Già, c'è qualcun altro?

Sì, beh, un paio ci sono: però sono al momento pure loro due bei punti interrogativi.

Uno è ovviamente la Torre di Tandil: non si può non citarlo, considerando il suo inizio di stagione, il primo Mille vinto e tutto il resto: però si sa che la terra non è gli è mai stata amicissima, col fisico che si ritrova e il gioco che ne consegue, e un po' di scorie e di tarli del passato sicuramente se li porta dietro. Oltre tutto, così a pelle, non sembra sprizzi voglia di sporcarsi troppo le scarpe col mattone tritato. A Montecarlo non ci sarà; a Madrid e Roma prima aveva detto di no, ora pare di sì, insomma, si vedrà.

E l'altro? Beh, l'altro è Dominic, of course. Direi indiscusso numero 2 sul rosso nella stagione 2017, con le semi di Barcellona, Roma, Parigi e la finale di Madrid, arriva alla swing europeo - unico tra i primi al mondo - avendo già giocato quello di febbraio in Sudamerica, peraltro con alterne vicende: sorvolando il 250 di Buenos Aires, vinto senza nemmeno complicarsi la vita come ama fare, ma senza incontrare avversari del suo livello; inciampando viceversa in un Verdasco indemoniato in Brasile, a Rio, dove deteneva il titolo. E già questo andamento qualche uhm lo solleva. L'altro punto interrogativo deriva dalla sua caviglia: che si è girata, e anche piuttosto di brutto, a Indian Wells e lo ha tenuto fermo 5 settimane. Che, per lui, sono un'eternità, visto quanto gioca, quanto lavora, quanto non si ferma quasi mai. Ora, peraltro, l'urna gli ha riservato un tabellone da incubo nel Principato che, oltre tutto, a giudicare dai precedenti, non è mai stato il suo Mille su terra preferito...

Insomma, per Montecarlo, la storia sembra già scritta, con l'11a che si profila per Rafa. Per quel che verrà dopo, si attendono sviluppi. I primi due Mille di stagione ci hanno insegnato che è bene non avere troppe certezze: due vincitori nuovi nuovi su due (e anzi, fanno 4 negli ultimi 5 Mille, comprendendo Cincinnati e Bercy 2017); non proprio nomi sconosciuti, ma comunque non i primi dei pronostici... A volte, i "miracoli" accadono. Certo, con Rafa in giro sulla terra, un po' meno

Editoriale n. 6

Nella terra di nessuno


Il mese di febbraio, nel tennis, ha un po' l'aria della terra di nessuno. Finito lo swing down-under, ci si appresta alla stagione del cemento primaverile, che si svolge per lo più sui campi americani: in mezzo, di tutto e di più.

Si gioca in quattro continenti contemporaneamente, come forse in nessun altro momento dell'anno: in Asia ci sono i ricchissimi Emirati che richiamano stelle e stelline; l'ATP si concede una mini stagione sulla terra sudamericana; gli amanti dell'indoor possono compiacersi di qualche appuntamento europeo; in nordamerica invece si pensa già al cemento outdoor. Insomma, ce n'è per tutti i gusti e tra l'altro con gran goduria per chi ha tanto tempo a disposizione perchè gli orari televisivi non si sovrappongono e, volendo, si può cominciare dalla tarda mattinata con Doha, Dubai et similia e tirare fino a tardi con Buenos Aires, New York, Rio, Delray Beach e compagnia cantando.

Certo, però, non fosse stato per la scalata al Numero 1 in quel di Rotterdam non ci sarebbe stato moltissimo da raccontare. Roger ha "salvato" il febbraio del tennis: la sua vicenda è stata la scialuppa di salvataggio di una nave in cattive acque. Epperò è mancato qualcosa: la conquista dell'ambito traguardo è avvenuta sì sul campo, ma con la complicità dei meccansimi del punteggio. Non si è svolto, cioè, un vero e proprio confornto tra gli aspiranti al trono. E dunque, grazie, Roger, ma ci vuol altro.

Questo calendario così incoerente genera infatti la sensazione è di trovarsi davvero un po' in mezzo al guado. E si percepisce l'attesa che si ridia fuoco alle polveri, con i primi punti in palio "pesanti". Si ricomincerà a fare sul serio a Indian Wells: perchè lì, tra l'altro, proveranno ad esserci tutti, o quasi. E allora si parrà la loro noblitate. E il circuito riacquisterà un po' più di senso.

Editoriale n. 5

Dov'eravamo rimasti?

E così è iniziata per davvero, l'annata 2018... Si può già trarre qualche considerazione, dopo una sola settimana? A mio parere, sì, perchè gli eventi giocati e i tennisti in campo sono stati davvero parecchi. Conclusioni comunque molto provvisorie, però, è ovvio. Anche perchè si sa che una settimana non può fare statistica.

Partiamo poco cavallerescamente dai maschi: perchè c'è più ciccia. E ci si capisce qualcosa di più. Anche se, in realtà, dovendo far riferimento anche ll'Hopman Cup, le strade di uomini e donne per qualche tratto si intrecciano...

Direi che la prima settimana, aggiungendoci anche qualche sommaria indicazione ricavabile dalla precedente dedicata all'esibizione del Mudabala, si può riassumere grosso modo in tre punti:

1. L'infermeria. Non si è ancora svuotata, questo è evidente. Tra i lungodegenti, come si sa, al momento il più malmesso sembra -purtroppo per lui- Andy Murray, per il quale i problemi all'anca si stanno rivelando così gravi da mettere addirittura a rischio il prosieguo della carriera. Segue Nishikori, che ha scelto di rinunciare al primo Slam dell'anno, non sentendosi in grado di competere ad alto livello, ma pare più prossimo al rientro, per il quale pare cercherà una via più soft, attraverso dei challenger da fine mese in poi. Tra i rotti dell'anno scorso, solo Raonic è già tornato in campo, ma con esiti tutt'altro che confortanti, sconfitto all'esordio a Brisbane da De Minaur. Djokovic e Nadal sono oggetti misteriosi: dopo essersi cancellati da tutti gli eventi, adesso sono entrambi sbarcati a Melbourne con l'intenzione di partecipare quanto meno all'esibizione del TieBreakTens, che dovrebbe dire qualcosa di più sulle loro condizioni fisiche (addirittura il serbo ha legato alle sensazioni che ricaverà da quell'evento la sua presenza allo Slam australiano). E Stan Wawrinka? Forse è ancora alle prese con il panettone...

2. I NextGen e dintorni. Qualcosa si muove, anzi più di qualcosa. Questa è stata la settimana degli exploit di Michael Mmoh, di Alex de Minaur, di Stefanos Tsitsipas, per citare solo i più eclatanti. Il 19enne americano ha superato le qualificazioni a Brisbane, issandosi poi fino ai quarti, sconfiggendo tra gli altri Mischa Zverev, per essere fermato dall'ancor più giovane australiano, capace di raggiungere la sua prima semifinale ATP e di dar filo da torcere a Ryan Harrison nell'occasione. Doha invece ha consentito di mettersi in luce al ragazzo di Atene, peraltro già un pochino più navigato; anch'egli ha superato le qualificazioni e altri due turni nel tabellone principale; il suo gioco ha incantato tutti, specie nella partita vinta contro Gasquet, e ha destato buone impressioni anche nella successiva, persa con onore da un più solido Dominic Thiem. Anagraficamente fa ancora parte dei NextGen anche Andrey Rublev, che di Doha ha giocato la finale, ma il suo caso può essere solo marginalmente accostato ai succitati, vista la classifica che il Russino è già riuscito a conquistarsi nell'annata passata. Da non dimenticare, infine, una menzione per Thanasi Kokkinakis, che si è ben portato alla Hopman Cup e forse intravede la fine del tunnel...

3. Il resto della compagnia. Molte situazioni delineatesi a fine 2017 sembrano per ora trovare conferme, altre sono in evoluzione. Dal Master erano usciti con le ossa piuttosto rotte Cilic e Zverev (Sascha): e ancora un po' di ruggine ce l'hanno addosso. In gran spolvero pareva invece Goffin, e lo è tuttora. Dimitrov forse ha festeggiato qualcosa di troppo, ma se ritrova concentrazione, non diamolo per perso: a Brisbane le ha buscate da un Nick Kyrgios che si è alzato dal letto col piede giusto (ma prima di scommettere sull'australiano bizzoso, occorre qualche prova in più). E poi c'è Roger, of course... Che al Master era arrivato un po' stanchino... Ma all'Hopman Cup è sembrato ben riposato e rilassato. E quanto meno inizia l'anno con un po' di certezze in più, sia di quello passato, sia della concorrenza.

Ed ora passiamo alle fanciulle, per fare il punto sulle quali si può far molto presto, volendo: nel prolungarsi dell'assenza di Queen Serena, la WTA è una tonnara. Tra neomamme e neospose, infortunate, semi-infortunate e rientranti in condizioni misteriose, ancora shockate per l'ebbrezza del primo Slam vinto, distratte, pigre, in ritardo di condizione, innamorate, preda di liti con gli sponsor, non c'è n'è che una manciata apparentemente solida ed affidabile, e con la WTA attuale non è nemmeno detto che tale solidità perduri per mesi. Dal finale del 2017 erano emersi tre nomi on fire che sembrano sostanzialmente confermati: Wozniacki, Goerges, Bencic. Le prime due si sono contese la finale di Auckland, che ha visto prevalere la tedesca, in striscia positiva da tre tornei; la svizzera a sua volta è apparsa ancora pimpante alla Hopman Cup, dove però ha ceduto ad una ritrovata Kerber. Ed è quest'ultima ad apparire la "novità" più incoraggiante rispetto alla stagione precedente, da lei vissuta - a quanto parrebbe - come sorta di anno sabbatico, per ripartire con più slancio nel 2018. Anche Svitolina ed Halep hanno risposto "presente" al primo appello: ma non è la prima volta che sembrano "sul punto di" e poi allo Slam franano. Quindi? ... Direi che non ci resta che attendere. Non si escludono grosse sorprese nel primo Major dell'anno.

Editoriale n. 4

E la chiamano off-season...


Sarà che, quando c'è il tennis giocato, alle altre cose ci badiamo molto meno, ma a me pare che ne stiamo succedendo parecchie nelle ultime settimane! Vediamo di ricapitolare un po'...

Ovviamente, una nutrita schiera di tennisti ha approfittato della pausa dalle competizioni per le vacanze: chi li segue un po' sui social, è stato inondato di foto per lo più dei Mari del Sud, dalle Bahamas di Rafa e Dimitrov alle (chissà come mai???) gettonatissime Maldive, dove si sono avvicendati prima i fratelli Zverev, con il brasiliano Marcelo Melo, e in seguito i reduci dalla Coppa Davis, tre francesi più Goffin, che evidentemente non se l'è presa più di tanto con chi gli ha frantumato il sogno di portare per la prima volta in Belgio l'insalatiera. C'è anche da dire che qualcuno ha preferito le vacanze casalinghe o quasi, magari profittandone per godersi la prima neve dell'inverno (come l'entusiasta Donna Vekic), oppure per stare con i propri bambini che durante l'anno si vedono magari troppo poco.

A proposito di famiglie, novembre e i primi giorni di dicembre sono stati anche mesi da matrimoni: l'ultimo a convolare, qualche giorno fa, è stato John Isner, ma negli ultimi 30 giorni abbiamo saputo che hanno cambiato stato civile Ramos, Gulbis, Delbonis e lo stesso Mischa Zverev. Per non parlare, ovviamente, di Serena, che però era in off-season già da parecchi mesi, causa gravidanza, of course. Non sarà proprio il mese delle spose, novembre, ma è evidente che maggio è periodo troppo fitto di impegni per infilarci anche le nozze, sicchè le fidanzate devono un po' adattarsi.

Poi naturalmente si sfrutta l'occasione per dedicarsi alle proprie passioni extratennistiche: e così vediamo campioni e campionesse sugli spalti degli stadi, come le tifose Mladenovic (rugby) o Goerges (calcio) oppure direttamente in campo, come documenta l'amichevole tra la squadra dei tennisti austriaci, fondata e capitananta da Dominic Thiem, e l'omologa formazione slovena. Un po' svago, un po' impegni promozionali: prodotto più sponsorizzato, se stessi. Sono di queste ore le foto un po' osè dell'insospettabile Elina Svitolina, che ha sorpreso parecchi comparendo non proprio senza veli ma quasi sulle pagine di una rivista maschile ukraina.

Qualcuno si mostra senza parlare, ma tanti parlano eccome: profluvi di interviste e conferenze stampa, spesso rilanciate dai siti specializzati anche se quasi sempre non dicono nulla di rilevante. Le più divertenti sono quelle polemiche, come quella di Svetlana Kuznetsova che spara ad alzo zero contro la (amatissima da tutte le colleghe) Bouchard, o quelle furbette, alla Shapovalov, che si augura al più presto il pensionamento dei vecchi mostri sacri, per poterne finalmente prendere il posto. Pensare di batterli no, eh? ...In realtà, l'unica parecchio attesa era la conferenza stampa di Stan Wawrinka, che aveva alimentato sospetti ed allarmismi: ma anche quella si è rivelata sostanzialmnte una bolla di sapone. Ci ha detto che sta bene ma non benissimo e ci è rimasto male per l'addio del suo coach. Vabbuò, ce ne faremo una ragione.

E forse proprio il giro di valzer delle panchine è, dal punto di vista tecnico, l'aspetto più interessante di questa off-season, in cui inizialmente è parso che tutti lasciassero tutti, o meglio tutte, visto il tourbillion di allenatori nella WTA, e ora finalmente la situazione sembra essere in via di definizione. Per cui, per esempio, quello che si è separato dalla Konta si è accasato con la Kerber e a sua volte il coach di quest'ultima si è accordato con la Vekic, eccetera eccetera eccetera. Inutile dire però che la partnership in un certo senso più attesa e più interessante è quella che si è venuta a creare tra Novak Djokovic e il neopensionato Stepanek (che, tra l'altro, pare esser pure ritornato con la ex moglie Vaidisova...). Per ora non ne sappiamo molto, se non che l'impegno del ceco con l'ex Numero Uno vuol essere ben più serio e continuativo di quello con Andre Agassi. Secondo molti, Radek è quello che ci voleva per Nole: ma, come sempre, sarà il campo a dare il responso.

Insomma, per esser solo una manciata di settimane, questa off-season sembra essere bella piena! Ma per fortuna, tra non molto si tornerà a giocare davvero: e allora quelle come le vicende adombrate in questa pagina non sembreranno nemmeno più notizie.

Editoriale N. 3

Uff... non so nemmeno più quanti giorni, quante settimane son passate, dacchè ho vergato le ultime righe su queste colonne! Come si dice, il lavoro - quello vero! - chiama e il tempo per le lepidezze si assottiglia vieppiù.

Mettiamoci poi il fatto che le ultime settimane di tennis hanno avuto davvero il sapore dell'autunno, vale a dire di una stagione che ormai ha detto da tempo tutto quel che aveva da dire... Sì è vero, si son disputate le WTA FInals, il Masterino di Zuhai, la Finale di Fed Cup e pure l'ultimo Mille nel settore maschile, però sinceramente il fuoco bruciante non l'ho più avvertito, in giro.

L'unico argomento che ha tenuto un po' desti gli appassionati è stata l'ultima parte della corsa alle FInals di Londra, sul cui epilogo mi soffermerò tra pochissimo: perchè a suo modo è una delle mie "storie", che merita d'esser raccontata.

Nel frattempo il solo evento che ha smosso qualcosa sono state le cosiddette NextGen ATP Finals, in quel di Milano. Dove le superstar attese erano Rublev, Shapovalov, forse Coric, e alla fine sbuca il Koreano che nessuno si fila o quasi e beffa tutti. Ma forse quest'epilogo soprendente è anche il frutto del format decisamente un po' strano. A parte la sgrdevolezza del martellante battage, devo ammettere di aver apprezzato poco tutto l'ensamble. Che non ho seguito poi molto, ma quel tanto che è bastato per farmi l'idea che il tennis vero è altra cosa. E quella roba lì con tutte le sue stranezze e stramberie gli è soltanto parente, nemmen tanto prossimo. Di tutte le regole proposte, la più oscena è senza dubbio il set che finisce al quarto game, anche perchè non ha nessun senso. Sulle altre, magari, si può discutere. Purchè con calma. Mooooooooooooolta calma. Moltisssssssssssssssssssssssssssima calma.

Si vedrà. Per ora, restiamo sulle storie del presente: siamo agli sgoccioli della stagione, ma qualcosa ancora si può raccontare.

Editoriale N. 2

(Se così lo si può definire...)

Un'altra settimana di tennis si è conclusa. Nel settore femminile con dei discreti botti, tra l'esplosione di Caroline Garcia e l'avvicendamento al numero 1, finalmente (dal suo punto di vista) appannaggio di Simona Halep. Nel settore maschile con vicende un po' meno eclatanti, in vista del penultimo Mille della stagione, che va a cominciare proprio ora in quel di Shanghai. Ovviamente, per come sono fatta, tra tutte prediligo le vicende meno pubblicizzate, e di quelle scelgo di parlare nei miei ultimi pezzi.

Questa settimana però - per impegni professionali - è stata durissima stare appresso a tutto quanto, sicchè gli unici sprazzi di tennis giocato di cui ho goduto sono stati quelli intravvisti in TV durante la colazione: anche a ciò si deve la scelta degli argomenti di questa settimana. Ma non è detto che avrei scelto diversamente, se anche avessi avuto più agio. Perchè le due storielle che ho raccontato sono proprio del mio tipo preferito, con al centro non esattamente le prime donne e le superstar, bensì persone apparentemente normali, che fanno in realtà cose speciali. Ovviamente per l'ambito di cui ci occupiamo qui. Che rimane pur sempre un ambito piccolino piccolino. E che però ha una sua bellezza, discreta ma affascinante.

Dunque, ancora una volta sono qui per raccontare ciò che mi piace.

Ed allora, diamo spazio ad un'altra Storia di tennis! Buona lettura!

Editoriale n. 1

(Se così lo si può definire...)

Sono passate circa tre settimane da quando ho iniziato questo viaggio nella scrittura tennistica. Non tutti i giorni ho potuto dedicarmi a questa mia "creatura", che purtroppo richiede tempo ed energie spesso risucchiate da casa e lavoro. Tuttavia sono strafelice di aver intrapreso questo percorso, che spero davvero di poter proseguire, e far crescere, perchè personalmente mi dà moltissima soddisfazione.

Anche se non le legge nessuno, a me le mie storie piacciono. Mi piace pensarle, mi piace scriverle, mi piace rileggerle. Mi consentono, tra l'altro, un sacco di scoperte, perchè appena punto un bersaglio, mi devo informare su di lui o di lei e ciò mi permette di conoscerlo o conoscerla meglio. Come tennisti e come personaggi. Non posso proprio dire "persone", perchè trattandosi di figure pubbliche a noi comuni mortali non è certo accessibile davvero il loro mondo interiore.

Tuttavia, qualcosa di loro s'impara, ed è bello anche perchè mi aiuta a smorzare le mie istintive idiosincrasie: perchè purtroppo ci sono tanti personaggi che a vario titolo mi indispongono; eppure raccontare di loro me li avvicina, per un po', e me li fa seguire con un occhio diverso. Insomma, questo blog mi sta facendo diventare più buona e lo sa il Cielo quanto ne abbia bisogno!

Ciò non toglie che molto probabilmente qualcuno non comparirà mai su queste pagine, perchè non posso proprio rinnegare totalmente me stessa. Se qualcuno vorrà seguirmi, capirà in un amen le mie simpatie ed antipatie... Non sono qui per essere politically correct. Bensì per raccontare ciò che mi piace.

Ed allora, diamo spazio ad un'altra Storia di tennis! Buona lettura!

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Il momento giusto


Questa settimana sono avvenuti ben quattro ritorni in campo dopo più o meno lunghi stop nel tennis maschile ed uno nel tennis femminile: e sono stati tutti diversi, o quasi. Suscitano riflessioni.

Ricapitoliamo: Milos Raonic ha rimesso piede su un campo da tennis per competere a 's-Hertogenbosch in Olanda, dopo quasi due anni. Ha scelto l'erba, perché è superficie a lui più congeniale, come attesta la finale di Wimbledon del 2016. Si poteva pensare ad una sorta di avvicinamento ad una passerella finale di carriera in quel di Church Road. Invece Milos ha sorpreso tutti alla grandissima, a cominciare dal suo avversario Kecmanovic. Due set a zero veloci senza patemi, e via andare. Come se non avesse mai smesso. Eppure ha dichiarato di aver passato un anno senza toccare una racchetta. Nel frattempo ha fatto altro, s'è sposato, ha messo su un sacco di chili, senza pensare granché al futuro… E poi niente, ha deciso che valeva la pena ritentare, si è messo sotto, si è asciugato tantissimo e si è presentato ora in una forma eccellente. Certo, bisogna vedere come sarà la tenuta sulla lunga distanza. Ma il suo nome nel tabellone di Wimbledon farà venire a più d'uno i sudori freddi.

Kei Nishikori, storia un po' simile, un po' no. Più o meno stessa leva di Raonic, appartenente alla cosiddetta "Lost Gen" che ha speso di sè "la miglior parte" alle prese con i Big Three, massimo traguardo la finale Slam a New York nel 2014, lui aveva annunciato il rientro mezza dozzina di volte da quasi un anno a questa parte, salvo poi ritirarsi all'ultimo momento. Sembrava sinceramente perso, anche perché pure da giovane era continuamente in lotta con il suo fisico di cristallo e, passati i trent'anni, non sembrava certo destinato a migliorare. Ieri invece si è rivisto in campo in un torneo ufficiale: ha scelto un Challenger, non sentendosi pronto per il livello dell'ATP, sul cemento, sua superficie da sempre favorita, in America. Ha trovato un avversario di livello non eccelso, ha fatto cose buone ed altre meno, però alla fine ha vinto pure lui: 2 set a 1 e chi l'ha visto (io no, ma 6000 utenti della piattaforma Challenger TV sì…) dice che timing e footwork, da sempre sue armi vincenti, non stanno affatto messi male. Kei non ha comunque nessuna intenzione di presentarsi a Wimbledon, non è mai stato il suo pane e non avrebbe molto senso provarci ora. La sua prospettiva è il cemento americano, come sempre.

E ora comincian le dolenti note a farmisi sentire"… Passiamo a quelli che "non ce l'hanno fatta".

Venus Williams: va be', ha 42 anni, gioca tre volte l'anno se va bene; ha trovato una ragazzina di 25 anni più giovane, dopo un'oretta ha finito la benzina… è un caso tutto particolare, non si può nemmeno prendere in considerazione come riferimento; si può solo stupire davanti alla sua evidente voglia di esserci ancora.

Matteo Berrettini e Nick Kyrgios vanno invece un po' a braccetto, pur nelle loro specificità. Sono chiaramente entrambi giocatori da superfici veloci, che hanno trovato nell'erba il loro terreno d'elezione. Hanno una storia speciale con Wimbledon, dove entrambi hanno giocato la loro unica finale Slam, nel 2021 e nel 2022 rispettivamente. Hanno avuto un sacco di guai fisici, con tanti stop&go. Nell'ultimo anno hanno giocato poco (Matteo) o pochissimo, praticamente niente (Nick).

Questa settimana, con gran fanfare, sono stati annunciati i loro rientri in campo, a Stoccarda. L'uno contro Sonego, l'altro contro il cinese Wu, sono apparsi lontani anni luce dalla condizione ideale: soprattutto entrambi sono apparsi dei paracarri, in termini di mobilità. E molto molto arrendevoli, sfiduciati. Questi due rientri sono stati chiaramente dettati da un'intenzione comune: non perdersi la brevissima stagione su erba, foriera dei maggiori successi delle loro carriere in passato. Ma è stato evidentissimo che la condizione non c'è. Forse arriverà in due o tre settimane, ma supporlo ha un che di fideistico.

E allora vien da pensare: benchè dolorosissima, non sarebbe più opportuna una rinuncia a questa stagione? E una pausa più lunga, per tornare davvero quando le condizioni saranno migliori? è una domanda suggerita dalle due vicende iniziali di questo contributo, e davvero non pretende una risposta affermativa. Ognuno è fatto a modo suo e ogni team sa che cos'è giusto per il suo atleta. O almeno si spera, perché tante volte anche nei mondi più professionali (e il tennis di alto livello lo è) si procede per prove ed errori, come ci potrebbero insegnare decine di altre storie. 


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