Consistency and Perseverance

31.08.2023

Ci sono tantissime storie da raccontare in questo primo scampolo di USOpen 2023... così tante che non si sa da dove cominciare. Ho cercato di scovarne una meno raccontata di altre: la storia di Elise Mertens. Non tutta, perché sarebbe lunga e per certi versi complessa. Proverò a farne una summa, che si può sintetizzare facilmente in quelle due parole lì: consistenza e perseveranza.

Sulla "consistency" di Elise vorrei scrivere da tempo immemore. E ho anche il titolo pronto da quel dì: aurea mediocritas. In senso oraziano, sia chiaro. La sua carriera è all'insegna della mediocritas, o - come avrebbero detto i Greci - della metriotes. Non sono parolacce, anzi: per la filosofia antica, è la condizione per la felicità. Equilibrio, giusto mezzo, equa distanza dal troppo in alto e dal troppo in basso, dalla vetta da cui è facile e rovinoso precipitare come dall'abisso in cui è penoso sprofondare: per questo, appunto, "aurea". Dorata. Eccellente. Un complimento lusinghiero, attribuire a qualcuno o qualcosa un'aurea mediocritas, anche se poi nella lingua corrente l'espressione ha spesso assunto il tono di una deminutio. Invece per gli antichi era una cosa bella. E io credo lo sia anche per Elise.

Cosa voglio intendere con questa espressione, riferita a lei? Facciamo parlare qualche numero. Elise Mertens è entrata in questo USOpen da 32esima e ultima testa di serie: una condizione che praticamente ha acquisito all'inizio del 2018 senza lasciarla mai più. In quel gennaio fu protagonista in Australia di un filotto clamoroso, con vittoria del titolo ad Hobart e semifinale Slam. Se non ho fatto male i conti, sono dunque 23 Slam consecutivi giocati da testa di serie (in Australia era ancora numero 37 al mondo). In questi, è uscita al primo turno UNA volta, l'anno scorso allo USOpen, mentre attraversava un periodaccio, fatto di infortuni, cambi di guida tecnica e di materiali. Altrimenti, è sempre arrivata almeno al secondo turno, più spesso al terzo, qualche ottavo qua e là, su tutte le superfici, due QF, entrambi in USA, e la già ricordata SF in Australia, in quello che fu il suo primo grande successo e - ad oggi - resta il suo migliore risultato Slam. Allargando un pochino lo sguardo, il best ranking dice numero 12 e il "worst ranking", da allora in poi, numero 44 (ma fuori dalle quaranta ci è stata davvero una manciata di settimane). Quindi sono oltre sei anni abbondantemente dentro le prime 50 al mondo, e per lo più tra le prime 30, la Top 10 sfiorata un paio di volte ma mai raggiunta (il congelamento delle classifiche post Covid le nocque sicuramente da questo punto di vista) 

Dal 2017 al 2022 ha sempre vinto almeno un titolo, se si esclude il 2020, in cui però si è giocato davvero poco (e lei comunque due finali se le è conquistate). Titoli tutti di livello "international", o come si dice ora 250, tranne il 500 di Dubai, il trofeo più prestigioso della sua collezione. E questo solo per citare il singolare, visto che in doppio nel frattempo si è presa tre Slam e le WTA Finals, lasciando stare i vari Mille, con una mezza dozzina di compagne diverse. E il numero 1 al mondo (potrebbe riprenderlo alla fine di questo US Open).

Se non è "consistenza" questa... e direi anche "dorata". Si può essere consistenti al ribasso, ma non è questo il caso.  Eppure Elise non è ragazza di cui si parli granché. Forse perché intorno a lei si è creato un cliché: batte quelle che le stanno sotto nel ranking, perde sistematicamente da quelle più forti. Un po' prevedibile, insomma. Non è del tutto vero, perché ha pur sempre 11 vittorie contro Top 10, per dire, però in linea generale è un po' così: fa parte dalla sua medietas (un altro sinonimo, che vuol dire sempre la stessa cosa). E così è anche il suo tennis, in un certo senso: non si può dire che rubi l'occhio. Qualcuno la direbbe "noiosa", io direi meglio "precisa", e "tetragona". Sa fare tutto benino, quasi niente benissimo, a parte forse il lob, su cui - da grande doppista - è chirurgica, ma quante volte si usa in partita? Le scelte sono quasi sempre giuste, i colpi quasi mai eccezionali. Il servizio è una buona arma, ma quasi mai letale anche per via dei tanti doppi falli. E potremmo continuare con ogni colpo, ogni fondamentale, ogni dettaglio, con questo "quasi" ricorrente; è anche carina, senza essere bellissima; alta, senza essere altissima; bionda, senza essere biondissima... Piuttosto riservata, tranquilla fuori e dentro il campo; la passione più sfrenata: i cani. Rigorosamente non di razza, bensì adottati.

Però sotto quest'acqua cheta, un po' di fuoco brucia. In campo, quanto meno. Ed ecco qui che salta fuori la "perseverance". Perché Elise Mertens da Leuven, Belgio, se sta bene, la partita non te la regalerà mai. La devi battere, e battere, e battere. La sua specialità sono i set point e meglio ancora i match point annullati. Personalmente ricordo un Mertens-Pegula di Dubai di un paio di anni fa: Jessica, che non era ancora quella di adesso ma era sulla buona strada per diventarlo, era in tranquillo vantaggio, arrivò a tre match point, ne fallì altrettanti, iniziò ad innervosirsi... e niente, finì per perdere 7-5 il secondo set e 6-0 il terzo, frustrata da tutti i recuperi, le difese, i salvataggi mortiferi di Elise. Per restare all'attualità, chiedere alla povera Mirjam Bjorklund, che nel primo turno di questi US Open se ne è visti cancellare tre, di match point. o alla inferocita Danielle Collins, che al secondo turno, dopo averne mancati due, è uscita completamente dalla partita per prendersi un 6-1 finale e lasciar strada ad Elise. Totale fanno cinque MP in due turni, e non è detto che sia finita.

Vero è che ora per lei l'asticella si alza, con una scatenata Coco Gauff ad attenderla: ma la giovane americana dovrà tenere i nervi saldi, se vorrà venirne a capo senza ammattire. Perché Elise sembra entrata in quella bolla di fiducia che le permette di scalare anche le montagne, pronta a vendere ben cara la pelle. E a far valere ancora una volta le sue doti di consistenza e, soprattutto, perseveranza.

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