Sull'orlo del cornicione

29.07.2019

L'immagine forse non dice tutto, ma molto sì: Sascha Zverev a capo chino, occhi chiusi perché non sanno dove guardare a cercare la luce, mano e maglietta al volto, a coprirsi, nascondersi quasi. E' solo un fotogramma, un istante di gioco forse dopo un punto sbagliato, ma è il ritratto di un giocatore in difficoltà evidente. Non si può dire sull'orlo del baratro, perché precipitare da così in alto vuol dire ammazzarsi al 100%, ma quanto meno del cornicione di una casetta sì, perché a cadere da lì ci si può fare parecchio male.

Ha passato tutta la settimana flirtando con la debacle, il più giovane degli Zverev, è alla fine - puntualmente - questa è arrivata, nella semifinale del torneo casalingo di Amburgo. Che i suoi tifosi avrebbero voluto rappresentasse per lui un'occasione di riscatto e di rilancio, dopo un periodo fosco, ed invece non solo non lo è stata, ma ha forse incrinato ancora di più la già fragile fiducia dell'attuale Numero Cinque del mondo.

Eppure, a ben vedere, questo ennesimo stop potrebbe alla lunga rivelarsi positivo, se adeguatamente analizzato e compreso. Perché vincere Amburgo non avrebbe significato in nessun caso imprimere una svolta alla stagione balorda in corso. Sarebbe stato quel che si dice un "brodino".

La prova del nove ovviamente non c'è, ma basta guardare indietro di qualche settimana: Zverev, dopo un avvio d'anno così così, inizia la stagione sul rosso con una serie di cambiali più o meno pesanti da difendere: i titoli di Monaco (250) e Madrid soprattutto, la finale di Roma. Fallisce in tutte e tre le occasioni, giocando malissimo e perdendo da avversari di classifica mediocre (mediocre rispetto a lui, of course). Tenta una carta disperata prima del Roland Garros per ritrovare un minimo di fiducia nei propri mezzi: si iscrive last minute al torneino di Ginevra. Fa una fatica bestiale, rischia di perderlo sul filo, ma alla fine solleva il trofeo. Bene: sbarca a Parigi, continua a fare una fatica bestiale, si arrampica fino ai quarti, arriva ad incontrare Djokovic e piglia una discreta ripassata. Morale della favola: a cosa gli è servito vincere Ginevra? Sostanzialmente a poco, per non dire nulla.

Ecco, vincere Amburgo avrebbe avuto grosso modo lo stesso effetto: più o meno come una sorsata di acqua fresca in un paziente decisamente debilitato. Perché si è visto chiaramente che Sascha avrebbe magari anche potuto vincerlo, il torneo: ma sarebbe stato solo il frutto di un enorme sforzo di volontà, non il prodotto di una superiorità tecnica e tattica sulla concorrenza (peraltro non altissima).

Pur non avendo seguito per filo e per segno i suoi match, mi è parso chiaro - infatti - specie nei quarti contro Krajinovic e nella semifinale con Basilashvili, che ci tenesse molto a sfruttare questa occasione offertagli dal torneo della città natale. In fondo, questo è un evento che ha per lui un significato speciale: fu qui che si mise in luce per la prima volta, ancor piccolissimo, raggiungendo la semifinale da Wild Card nel 2014. Poi, negli anni seguenti, il rapporto con il torneo di casa si è andato logorando, tant'è vero che all'ultima partecipazione, tre anni fa, si prese pure una strigliata dagli organizzatori, che lo accusarono di scarso impegno. Quest'anno è ritornato, e l'ha fatto davvero con spirito diverso, combattivo, pugnace, almeno a tratti: le sue urla di esultanza, alternate a quelle di frustrazione, mostravano tutta la partecipazione emotiva che ci stava mettendo. 

Tuttavia, non si può vincere un torneo di pure volontà, o meglio, si può anche vincerlo, ma non serve a niente in prospettiva se non si lavora sugli aspetti tecnico-tattici che hanno spinto Sascha a passeggiare sempre più spesso sull'orlo del cornicione, a perdere partite già vinte o quasi, ad eclissarsi in larghi tratti di match, a buscare sonore lezioni da avversari spesso inferiori. Il fatto è che il ragazzo ha vinto già tanto e lo ha fatto da molto giovane, avendo però dei limiti, su cui ha lavorato poco, e male: il servizio è buono, ma per un tennista così alto tutto sommato non devastante, e per più ultimamente si trasforma spesso in un boomerang per via dei frequenti doppi falli; quello del dritto è sempre stato il suo lato più debole, e non è progredito granché, anzi; l'atteggiamento in campo è spesso troppo passivo, lontano dal fondo, a remare, con un gioco che risulta sfiancante e poco produttivo, specie per uno con la sua fisicità. 

Da più piccolino, suppliva a queste carenze con due armi: la relativa novità, che ha spiazzato parecchi avversari, e la "garra" agonistica. Ora la novità ovviamente non sussiste più e in molti gli hanno preso le misure, attaccandolo sui suoi punti deboli; quanto alla garra, che lo ha davvero salvato parecchie volte consentendogli anche di portare a casa dei titoli salvando match point a destra e manca, be' quella va a sprazzi e soprattutto viene meno nei momenti clou, perché la fiducia è incrinata.

Sascha qualche mese fa ha raccontato, piuttosto a cuore aperto, di alcune difficoltà extratennistiche che stava attraversando e gli toglievano serenità: la causa milionaria con l'ex manager, i problemi di salute del padre, la rottura con la fidanzata e via dicendo. Tutto vero, tutto sacrosanto: se ha dei pensieri, difficile concentrarsi al 100% sul campo. Però non vorrei che fossero anche comodi alibi, dietro cui mascherare il fatto che, se vuol tornare in altissimo, deve resettare e ripartire dall'ABC. Perché ora fortunatamente il papà sembra star meglio - è di nuovo al suo angolo - e pure la ragazza è tornata al suo fianco. E quindi qualche nube si è diradata.

Allora quel che gli occorre davvero è trovare una guida tecnica di cui fidarsi e a cui affidarsi, ma seriamente, fino in fondo, (ha rotto con Ferrero dopo pochi mesi di collaborazione, ora anche con Lendl e sempre in maniera piuttosto burrascosa, pare), lavorare tanto sui punti deboli ed acquisire un po' di umiltà. Accettando il fatto che magari ha vinto da giovanissimo qualcosina in più di quel che valeva davvero sul campo in quel momento, aiutato da una certa dose di circostanze favorevoli, e che, se vuol tornare a quei trofei e a lottare per i traguardi più prestigiosi, probabilmente gli occorrerà del tempo. Magari anche tanto tempo. 

Se da Amburgo Sascha uscisse con questa consapevolezza, o quanto meno con un barlume di essa, forse potrebbe cominciare a lavorare in un'altra prospettiva e provare a scendere dal cornicione con una scala, anziché con un pericoloso salto nel vuoto.


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