In questo blog voglio raccontare le mie "storie di tennis". Non sempre saranno sul personaggio del giorno, sul vincente di turno. Più spesso, mi piace trovare qualcosa da raccontare su chi invece ha avuto una giornata storta, o una vicenda complicata. E soprattutto esprimere un'emozione.

Perchè il tennis sarà tecnica, agonismo, regole e punteggi... ma alla fine è fatto di persone, per le persone. E le persone sono emozioni. E storie, appunto. A me piace (anche) per questo.

Le ultime "storie" pubblicate sul Blog

Quando non c'è UNA storia da raccontare, ma di tutto un po', secondo l'ispirazione... ;)

Il momento giusto


Questa settimana sono avvenuti ben quattro ritorni in campo dopo più o meno lunghi stop nel tennis maschile ed uno nel tennis femminile: e sono stati tutti diversi, o quasi. Suscitano riflessioni.

Ricapitoliamo: Milos Raonic ha rimesso piede su un campo da tennis per competere a 's-Hertogenbosch in Olanda, dopo quasi due anni. Ha scelto l'erba, perché è superficie a lui più congeniale, come attesta la finale di Wimbledon del 2016. Si poteva pensare ad una sorta di avvicinamento ad una passerella finale di carriera in quel di Church Road. Invece Milos ha sorpreso tutti alla grandissima, a cominciare dal suo avversario Kecmanovic. Due set a zero veloci senza patemi, e via andare. Come se non avesse mai smesso. Eppure ha dichiarato di aver passato un anno senza toccare una racchetta. Nel frattempo ha fatto altro, s'è sposato, ha messo su un sacco di chili, senza pensare granché al futuro… E poi niente, ha deciso che valeva la pena ritentare, si è messo sotto, si è asciugato tantissimo e si è presentato ora in una forma eccellente. Certo, bisogna vedere come sarà la tenuta sulla lunga distanza. Ma il suo nome nel tabellone di Wimbledon farà venire a più d'uno i sudori freddi.

Kei Nishikori, storia un po' simile, un po' no. Più o meno stessa leva di Raonic, appartenente alla cosiddetta "Lost Gen" che ha speso di sè "la miglior parte" alle prese con i Big Three, massimo traguardo la finale Slam a New York nel 2014, lui aveva annunciato il rientro mezza dozzina di volte da quasi un anno a questa parte, salvo poi ritirarsi all'ultimo momento. Sembrava sinceramente perso, anche perché pure da giovane era continuamente in lotta con il suo fisico di cristallo e, passati i trent'anni, non sembrava certo destinato a migliorare. Ieri invece si è rivisto in campo in un torneo ufficiale: ha scelto un Challenger, non sentendosi pronto per il livello dell'ATP, sul cemento, sua superficie da sempre favorita, in America. Ha trovato un avversario di livello non eccelso, ha fatto cose buone ed altre meno, però alla fine ha vinto pure lui: 2 set a 1 e chi l'ha visto (io no, ma 6000 utenti della piattaforma Challenger TV sì…) dice che timing e footwork, da sempre sue armi vincenti, non stanno affatto messi male. Kei non ha comunque nessuna intenzione di presentarsi a Wimbledon, non è mai stato il suo pane e non avrebbe molto senso provarci ora. La sua prospettiva è il cemento americano, come sempre.

E ora comincian le dolenti note a farmisi sentire"… Passiamo a quelli che "non ce l'hanno fatta".

Venus Williams: va be', ha 42 anni, gioca tre volte l'anno se va bene; ha trovato una ragazzina di 25 anni più giovane, dopo un'oretta ha finito la benzina… è un caso tutto particolare, non si può nemmeno prendere in considerazione come riferimento; si può solo stupire davanti alla sua evidente voglia di esserci ancora.

Matteo Berrettini e Nick Kyrgios vanno invece un po' a braccetto, pur nelle loro specificità. Sono chiaramente entrambi giocatori da superfici veloci, che hanno trovato nell'erba il loro terreno d'elezione. Hanno una storia speciale con Wimbledon, dove entrambi hanno giocato la loro unica finale Slam, nel 2021 e nel 2022 rispettivamente. Hanno avuto un sacco di guai fisici, con tanti stop&go. Nell'ultimo anno hanno giocato poco (Matteo) o pochissimo, praticamente niente (Nick).

Questa settimana, con gran fanfare, sono stati annunciati i loro rientri in campo, a Stoccarda. L'uno contro Sonego, l'altro contro il cinese Wu, sono apparsi lontani anni luce dalla condizione ideale: soprattutto entrambi sono apparsi dei paracarri, in termini di mobilità. E molto molto arrendevoli, sfiduciati. Questi due rientri sono stati chiaramente dettati da un'intenzione comune: non perdersi la brevissima stagione su erba, foriera dei maggiori successi delle loro carriere in passato. Ma è stato evidentissimo che la condizione non c'è. Forse arriverà in due o tre settimane, ma supporlo ha un che di fideistico.

E allora vien da pensare: benchè dolorosissima, non sarebbe più opportuna una rinuncia a questa stagione? E una pausa più lunga, per tornare davvero quando le condizioni saranno migliori? è una domanda suggerita dalle due vicende iniziali di questo contributo, e davvero non pretende una risposta affermativa. Ognuno è fatto a modo suo e ogni team sa che cos'è giusto per il suo atleta. O almeno si spera, perché tante volte anche nei mondi più professionali (e il tennis di alto livello lo è) si procede per prove ed errori, come ci potrebbero insegnare decine di altre storie. 


La luce di un Razzo nella notte

L'off season del tennis è quasi finita, ma nell'attesa perché non raccontare qualche "Storia di neve"? Ho pensato che si potrebbe cominciare con un Campione olimpico...

Non racconto quasi mai di Italiani: non so perchè, forse il pensiero che potrebbero leggermi e capire quello che scrivo e magari non apprezzarlo nè condividerlo mi trattiene; o forse, semplicemente, finora nessuno mi ha ispirato abbastanza da poterci costruire intorno una bella "storia" (di tennis o di neve, purchessia!).

Ma se oggi inauguro la mia - a lungo progettata e mai realizzata finora - sessione invernale delle Storie, sconfinando in sport meno planetari e assai meno ricchi del mio solito, è proprio per merito di una piccola grande impresa di un atleta italiano: Giuliano Razzoli, il "Razzo" di Villa Minozzo, il Campione olimpico di Slalom a Vancouver 2010. Ossia, ormai, tre Olimpiadi invernali fa: vale a dire che ne è corsa di acqua sotto i ponti... e sono successe tante tante cose, da allora. Tant'è vero che quell'oro olimpico appartiene alla memoria, forse, di troppo pochi appassionati ormai.

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