Zitta zitta, Anastasija...
La Anastasija di cui sopra è la Sevastova: giocatrice di cui si parla pochissimo. Non particolarmente giovane, non particolarmente bella, non particolarmente appariscente né in campo né fuori, non è evidentemente abbastanza "glamour" per attrarre i riflettori su di sé. Eppure avrebbe le carte in regola per farlo, da un punto di vista meramente sportivo: sia per i risultati raggiunti, sia per il modo in cui se li sta conquistando. Ossia a coronamento di una carriera che definire travagliata è forse persino un po' riduttivo.
A 16 anni, era di gran lunga la numero 1 del suo Paese, la Lettonia; a 17 aveva vinto il suo primo match in uno Slam: ingredienti giusti per essere una precoce e promettentissima stellina. Ed in effetti già nel 2010, lei che è nata nel '90, avrebbe portato a casa il primo titolo WTA, sulla terra di Oeiras. Nello stesso anno, qualche vittoria importante, anche contro Top Ten, ed una ascesa fino al numero 36 del ranking. Prime tappe di un percorso che si preannunciava brillante. Per quanto non dotata di un fisico da amazzone né, quindi, di un gioco particolarmente potente, sembrava tuttavia che i suoi mezzi tecnici le avrebbero garantito un sicuro e luminoso avvenire.
Invece, come accade tante volte, "Nasty" si trovò a fare i conti con gli infortuni: uno dietro l'altro, a poca distanza, caviglia, anca, poi gomito. E un anno e mezzo circa a penare. Ma era ancora molto giovane e teoricamente aveva tutto il tempo per riprovarci, quando prese una decisione sorprendente: dire basta. Interrompere la sua carriera professionistica, rinunciare al suo sogno. Aveva 23 anni e si era rimessa a studiare. Inizio di una nuova vita, un'altra pagina da scrivere.
Evidentemente però il richiamo del tennis giocato é stato prepotente per lei. La lunga pausa dall'agonismo ha permesso al suo fisico di rigenerarsi completamente, la lontananza forzata dai campi ha fatto il resto: è il 2015, e Anastasija decide di riprovarci. Deve ripartire da zero, lo sa benissimo: non ha classifica, nessun ranking protetto. Come se fosse tornata junior, tanto talento e belle speranze... ma con una marcia in più. Quella di chi quella trafila l'ha già passata e può mettere a frutto l'esperienza. Con la voglia, per di più, di una che ha perso tutto ed ora ha un'opportunità per riprovarci.
Non sono queste sensazioni che Anastasija abbia esternato e condiviso in lungo e in largo: è piuttosto riservata, preferisce lavorare in silenzio e lasciar parlare il campo, anche se poi quando è in partita spesso si lascia andare a monologhi e lamentazioni. Ma le possiamo facilmente ricostruire, le sue sensazioni, anche per effetto dei tanti parallelismi con le storie di altre sue colleghe che hanno passato un calvario simile e magari lo hanno raccontato di più. Mai come in questa fase infatti, vuoi per i progressi della medicina, vuoi forse per gli esempi di successo, sembrano moltiplicarsi le vicende di ragazze che si erano arrese ai colpi della malasorte e ai problemi fisici, ma dopo periodi anche lunghi sono tornate a provarci: pensiamo a Timea Baczinsky, a Mihaela Buzarnescu, attualmente alle prese con nuovi guai, ma comunque capaci di ritornare dal nulla dove erano state costrette a ritirarsi.
Ma restiamo sulla Sevastova. Dicevamo: l'anno cruciale per lei è il 2015. Torna a giocare gli ITF e inizia a vincere, vincere, vincere, senza fermarsi più. Evidentemente il suo livello è troppo superiore alla media di quel circuito. Rientra in classifica e la sua scalata ha inizio.
Perché Anastasija ha ben più alte ambizioni. E il quarto di finale conquistato a New York nel 2016 sembra certificarlo: lei, che era una baby pensionata, é nella fasi finali di uno Slam! Non tutto, da allora in poi, le andrà benissimo, é vero, ma un anno esatto dopo, é di nuovo là: stesso Slam, stesso risultato. E solo una manciata di punti a separarla dalla semifinale: a fermarla, colei che di lì a poco avrebbe sollevato il trofeo, Sloane Stephens. Ma Nasty è una che sa aspettare e zitta zitta coltiva il suo piano per rifarsi: un anno ancora e New York sempre nel cuore. Lei dice di non sapere perché gioca così bene laggiù: in fondo non è nemmeno una specialista del cemento, visto che i suoi titoli WTA sono arrivati sul rosso (il già citato Oeiras) e sull'erba (sei anni dopo il primo, a Marbella). Ma probabilmente agiscono tante memorie positive, la prima vittoria Slam, il primo quarto... E così ancora stesso palcoscenico, stessa avversaria, ma risultato diversissimo: Sevastova demolisce una Stephens fiaccata dal caldo e del peso della corona da difendere ed approda alla semifinale Slam, dove finirà sì travolta dal superiore peso di palla di Serena, ma senza gravarsi di eccessivi rimpianti.
Anche perché la festa non è mica finita: si potrebbe pensare ad un exploit isolato, una combinazione favorevole, al suo storico amore per lo Slam americano. Ma, a parte il fatto che la lettone sembra averci preso gusto a battere Top Ten anche su altri terreni, ora la sua storia si fa sempre più bella ed intrigante: ha battuto la lanciatissima campionessa di New York Naomi Osaka e domattina giocherà la sua prima finale veramente importante nel Mandatory di Pechino. Non solo: l'approdo tra le Migliori Dieci al mondo non è un miraggio né un'utopia. E sarebbe davvero un giusto premio e un bell'esempio per tutte: un tennis intelligente e tecnicamente completo, una incrollabile forza di volontà, una passione per lo sport che alla fine, in silenzio, senza troppi clamori, portano lassù, dove la Anastasija bambina sognava di arrivare e la Anastasija ragazza aveva rinunciato ad approdare. E la Anastasija giovane donna dalla storia complicata forse potrà finalmente trovare lo spazio che si merita.