Una vittoria semplice semplice

25.07.2019

E' vero: Wimbledon è ormai alle spalle, da un po'. Appartiene alla storia, ed è ora di guardare già al prossimo Slam. Però, andateglielo a dire a chi a Church Road ha vinto: sia che si chiami Novak Djokovic, con i suoi cinque set, e i match point salvati, e il tiebreak sul 12 pari... sia che si chiami Simona Halep, secondo Major in bacheca, Serena Williams schiantata. Loro, giustamente, si godono le meritate vacanze e si prendono il tempo necessario per metabolizzare... E a noi non resta che guardare ancora una volta indietro, per tirare le fila.

Sulla finale maschile però si è detto e scritto davvero troppo per avere un'altra parola da aggiungere. E, ad onor del vero, anche sul trionfo di "SuperSimo" non è mancato l'inchiostro. Però a me è sembrato che in certe analisi sia mancata una parola chiave: e questa parola è "semplicità". Intesa in due sensi. Adesso cerchiamo di capire quali.

Il primo significato riguarda proprio la persona della vincitrice, la ragazza Simona. Che, intendiamoci, per essere lì dov'è dev'essere senza dubbio un fenomeno: atleticamente preparatissima, completamente concentrata sul tennis, ambiziosa e determinata al punto da esser disposta a stravolgere la propria vita e finanche il proprio corpo pur di ottenere il successo, non stiamo parlando di una ragazza "normale" in senso stretto. Eppure è una che dà una sensazione di "normalità", in un certo modo: voglio dire, se fosse una commessa o una dottoressa o una commercialista e la incontrassi per strada, probabilmente la noteresti a malapena. Perché non è la solita stangona di un metro e ottanta che svetta sulla maggior parte delle appartenenti al gentil sesso e perchè ha un viso comune, acqua e sapone, non una bellezza che copertina, ma appunto nella media, con i grandi e begli occhi chiari, un naso un po' importante, il sorriso timido... E, ripeto, sempre a vederla così, da fuori e da lontano, sembra anche una ragazza semplice, senza tanti fronzoli, senza tanti grilli per il capo, zero gossip su di lei, riservatissima sulla sua vita privata e un fortissimo legame con il suo non facile paese d'origine. 

Attenzione, però: semplice non vuol dire necessariamente senza problemi. Anzi, la normalità più eclatante di Simona si riscontra in quel suo essere campionessa (e su questo ormai non ci sono dubbi: anche perché si può forse vincere uno Slam un po' per caso e per fortuna, ma due certamente no!), dicevamo in quel suo essere campionessa e nello stesso tempo donna fragile, piena di paure e di insicurezze, tradita tante volte dai nervi, dalla pressione, da un peso che sembrava tutte le volte così schiacciante da soffocarla e bloccarla quando la meta pareva più vicina. Simona ha perso tante volte da favorita, ha perso tanto volte quanto sembrava ad un passo dalla meta, ha perso anche tante partite praticamente vinte. Una su tutte, la più dolorosa sicuramente, la finale del Roland Garros contro Jelena Ostapenko.

In questo senso, allora, non si può dire di lei "semplice", ma semmai "complicata". Ebbene, la sua grandezza, in questo Wimbledon 2019, è consistita proprio nella capacità di scrollarsi tutto questo di dosso. E far diventare, per una volta, il proprio cammino verso il titolo una strada in discesa. Non voglio dire, sia chiaro, che per lei sia stata una passeggiata: eppure, a ben guardare il suo percorso, sembra di poter dire che, per la prima volta, lei non abbia fatto nulla per complicarsi la vita.

Ha iniziato il torneo sotto traccia, con pochissimi riflettori accesi su di sè. Reduce da una prima parte di stagione balbettante, dalla mancata difesa del titolo a Parigi, da una sconfitta netta da parte della Kerber nel torneo di preparazione a Wimbledon, non godeva di particolari favori tra bookmakers ed esperti. E questo deve averle fatto un gran bene: mentre a Parigi tutti, e lei per prima, si aspettano mirabilia da lei, qui ha potuto godersi il torneo, crescendo in condizione e fiducia giorno per giorno. Partita comunque con il piede giusto, non in forma smagliante, ma nemmeno costretta a rincorse o rimonte che seminano i dubbi e prosciugano le energie, ha smarrito un solo set nel derby di secondo turno con Michaela Buzarnescu e ha poi inanellato un serie di risultati che, letti col senno di poi, dovevano far presagire che fosse il suo anno, il suo momento. Ottavi con la stellina, già iperpompatissima dai media, Coco Gauff: partita assai insidiosa per Simo, strafavorita che aveva tutto da perdere (e in una situazione analoga, con Anisimova, aveva in effetti perso, al Roland Garros, poche settimane addietro) vinta da veterana consumata; quarti contro Zhang, giocatrice sì di livello inferiore ma con H2H positivo nei suoi riguardi e capace di batterla piuttosto nettamente nelle ultime occasioni di confronto, partiti maluccio ma raddrizzati con pazienza ed intelligenza tattica e poi dominati; e ancora semi con Svitolina, una delle sue bestie nere, in grado di rifilarle bagels e breadsticks nella Finale di Roma ed altre amarezze assortite, ma rispedita a casa con un'autorevolezza mai vista da parte sua su questi palcoscenici.

Ed è così che ha vinto anche la Finale di Wimbledon. Dove, questa volta, ad essere mangiata dalla tensione, è stata proprio la sua rivale Serena Williams, alla spasmodica caccia dello Slam numero 24 che le avrebbe permesso di superare Margaret Court. Simona, invece, è parsa straordinariamente lucida, ed eccezionalmente sicura dei suoi mezzi: mai un cedimento, mai un brivido, mai un'incertezza. Quella finale, quella montagna da scalare, l'ha fatta diventare semplice, se la perfezione si può definire tale: l'epilogo naturale di un torneo in cui non ha avuto passaggi a vuoto e che ha quasi sorvolato, tanta era la leggerezza con cui l'ha affrontato. Senza la scimmia appollaiata sulla spalla, senza la vocina nella testa ad insinuare il dubbio.

Era quello che molti si attendevano sarebbe successo dopo il trionfo del Roland Garros 2018: si diceva, finalmente libera, non più "obbligata" a legittimare il suo Numero Uno, vincerà diversi altri Slam, ora. Ci è voluto un po' di tempo, fisiologicamente. Quel primo titolo le era costato tantissimo, in termini di energie e di fatiche, e l'aveva quasi svuotata. Una Superdonna ci avrebbe messo qualche settimana e sarebbe ripartita. Ci è voluto più di un anno per Simona: la (ex?) Complicata, che ora ha forse imparato davvero a far diventare tutto più semplice.

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