Sotto i colpi del "Tanque"
Basta dargli un'occhiata per capire perché il cileno Cristian Garin sia soprannominato "El Tanque", il carro armato: perché è solido, quadrato, massiccio, potente. Lo è fisicamente e lo è tennisticamente, almeno quando le cose gli girano bene. Il suo limite più evidente è, al momento, la capacità di far valere queste caratteristiche quando le cose vanno male, ma gli ultimi risultati dimostrano quanti e quali enormi progressi abbia compiuto il ragazzo cileno anche su questo terreno.
Ma andiamo per ordine, con qualche passo indietro. Dobbiamo tornare al 2013: Cristian, che è un classe '96, gioca da Junior il Roland Garros. Arriva in finale in singolare e in doppio, col conterraneo Nicolas Jarry. E il singolare lo vince, cedendo appena un set in tutto il torneo, e battendo uno che è già una stellina e di lì a poco farà il suo ingresso prepotente nel mondo dei grandi: Sascha Zverev. Ma quel RG 2013 va al giovanotto cileno, che corona così un torneo da incorniciare e sembra avviato ad una carriera assai incoraggiante, considerato anche l'esordio nel circuito ATP avvenuto nel febbraio dello stesso anno con una wild card nel torneo casalingo di Viña del Mar: è un sedicenne, ma è già in grado di battere l'allora n. 166 del mondo, Lajovic, nel primo turno del torneo. Non solo: nel 2013 ha già al suo attivo persino la convocazione in nazionale per la Coppa Davis.
Tutto facile, dunque? Neanche per idea. Da quel momento, quel che lo attende in termini di risultati sportivi, è più o meno il nulla. Due anni abbondanti di aspettative che paiono mal riposte e di delusioni che azzerano il morale e moltiplicano i dubbi sul suo futuro. Al termine del 2017 è numero 311 ATP e le prospettive non sono rosee. Ad appena 21 anni, sembra uno di quelli che, dopo una brillante carriera junior, non ce l'ha fatta a sfondare.
E invece. Invece ora è uno dei giocatori più "caldi" del momento. Nel 2019 ha vinto 20 partite sulla terra battuta ed ha già all'attivo due titoli, Houston e il recentissimo Monaco di Baviera, con tre finali disputate (oltre a quelle vinte, anche San Paolo) più o meno come un certo Roger Federer. Certo, in eventi minori, con un lotto di partecipanti magari non di primissimo ordine, però intanto chi l'avrebbe mai detto un anno e mezzo fa? E comunque, nel suo cammino in terra di Germania, si è concesso il lusso di ripetere il successo del lontano RG junior battendo quello che, nel frattempo, è diventato il Numero Tre del mondo. Insomma, le cifre ci parlano di un giocatore in fortissima ascesa: basti pensare che le prossime classifiche lo vedranno al numero 31, in procinto di essere testa di serie nello Slam parigino.
Come ci è arrivato, a tutto ciò? Aiuta a far luce sul suo percorso una recente intervista al suo coach, l'argentino Schneiter. La loro collaborazione è iniziata un po' meno di un anno fa, a Wimbledon: Cristian era già riuscito a risollevarsi di oltre cento posti in classifica e navigava intorno al 170, ma era senza coach. La nuova guida tecnica e il superamento di alcuni guai fisici gli hanno ridato fiducia: ha chiuso l'anno con quattro finali challenger, di cui tre vinte, e da lì ha spiccato il volo.
Un ulteriore passo avanti molto incoraggiante gli è stato permesso ancora dalla Coppa Davis. Anche grazie al suo contributo, il Cile si è unito al gruppo delle finaliste che saranno protagoniste a Madrid il prossimo novembre. Cristian ha preso sempre più fiducia, superando apparentemente quello che appariva uno dei suoi limiti maggiori, come si diceva all’inizio, ossia la tenuta mentale. A Monaco, questa settimana, sotto i suoi colpi potenti sono caduti personaggi quali Schwarzman, Cecchinato e lo stesso Zverev. Contro quest'ultimo il cileno ha saputo destreggiarsi in situazioni oltremodo spinose ed ha prevalso dopo aver fronteggiato con successo due match point. In Finale oggi ha concluso dominando il tie-break del terzo, come solo può fare chi è solido come una roccia. O meglio, come un carro armato!