(Not) sliding doors

Ovvero, parlando di tennis, quando una partita NON ti cambia la vita. Nè la carriera. Ma anzi, in qualche modo, conferma quello che sei sempre stato.
è più o meno quello che ho pensato, l'altra domenica, mentre volgeva al termine - sulla Plaza de Toros di Valencia - l'ultimo atto della interminabile sfida di Davis Spagna vs. Germania. Il quinto set del quinto match, quello decisivo, quello che avrebbe portato in semifinale l'una o l'altra squadra. Per la Germania, in particolare, vincere sarebbe stata un'impresa "storica": battere fuori casa, sulla terra, la Spagna di Rafael Nadal - un mezzo miracolo già di per sè - avrebbe signficato anche tornare in semifinale dopo oltre dieci anni: roba grossa.
Senonchè,
a contendersi il punto decisivo, gli iberici hanno schierato il vecchio
lottatore David Ferrer, e i tedeschi il di poco più giovane Philipp
Kohlschreiber. Che gli esperti conoscono come uno dei più straordinari
cestinatori di partite, spesso anche già vinte, del circuito.
ll buon Kohli, come lo chiamano dappertutto, patria compresa, a fronte del suo ostico cognome, è un signor giocatore - sia chiaro. Certo non sarà uno che avrà conquistato nè le copertine nè i titoloni, perchè non ha mai realizzato exploit clamorosi ed è sempre comunque stato piuttosto discontinuo. Tuttavia, ha avuto una carriera di tutto rispetto: a 34 anni, la si può dire ormai quasi conclusa, e si onora di 8 titoli, ottenuti su superfici varie e per lo più in casa o immediati dintorni (lui bavarese che però risiede a Kitzbuehel), ed un best ranking di numero 16 al mondo. Non esattamente uno scarsone. Bellissimo rovescio ad una mano, gioco abbastanza vario ed adattabile a tutti i contesti, capace se in giornata di mettere in difficoltà chiunque.
Tuttavia la sua storia dimostra anche che magari sì, ti fa penare un set o due... ma poi, tendenzialmente, se sei più forte con lui, la partita la vinci. Ci sono tanti di quegli episodi a dimostrarlo! Per dire, l'anno scorso a Miami in un terzo turno con Nadal giocò un primo set da paura: e gli diede 6-0, mica una roba che tanti altri potranno raccontare ai nipotini. Poi però nei due set seguenti quasi non toccò palla. E la sua avventura a Miami finì così. Ma qualche settimana prima a Dubai aveva fatto anche di peggio, portandosi sette volte ad un punto dallo sconfiggere Andy Murray, che allora era ancora numero 1 al mondo, e finendo per perdere alla prima occasione per il suo avversario.
Ecco, Kohli è uno che i titoli per lo più se li è conquistati così: per le imprese sfiorate, per le vittorie eclatanti accarezzate e mai realizzate. Anzi, non solo eclatanti: per dire, anche nella finale non proprio prestigiosissima di Marrakech, giusto un anno fa, riuscì a gettare al vento 5 match point, regalando il suo primo trofeo ATP a Borna Coric.
Insomma,
sembra proprio un bravo ragazzo, questo tedesco, uno che preferisce far
del male a se stesso piuttosto che agli avversari.
E allora, come dire? La partita di Davis avrebbe potuto esser per lui, in un certo senso, quella del riscatto di una carriera, quella che ti fa dire: "Ok, ne ho perse mille con match point a favore, ma adesso sono arrivato a 34 anni, non ho più nulla da perdere, mi prendo questa enorme soddisfazione e in un colpo solo mi scrollo di dosso, proprio a suggello della carriera, quella fastidiosa etichetta di incompiuto, di perdente, che tante vicende mi hanno appiccicato addosso..."
Ecco, avrebbe potuto. O forse no: non poteva essere. Non era una sliding door. Non c'era un'alternativa, un'opzione. Il suo era un destino già scritto. Ed è così che si è compiuto: tante volte è stato avanti, l'ha avuta quasi in pugno. Break e traguardo vicino... nel terzo set, e poi più ancora nel quinto... Era lì, mancava così poco, bastava giocare tranquillo, non sbagliare, chè tanto anche Ferrer era cotto e non ce la faceva più...
Ma da fuori è tutto facile. Quando hai visto passare tutti quei treni e sai quanti ne hai persi, improvvisamente la rete diventa più alta, il campo avversario più piccolo ed il tuo più grande, tutto congiura, il braccio ti diventa di legno... E in un attimo ti ritrovi, di nuovo, che hai perso, devi ingoiare anche questa e provarci un'altra volta, pensando che forse non te ne restano più tante, che questa era quella buona e hai rovinato tutto.
David Ferrer, che pure ne ha viste tante pure lui, è stato uno dei primi a capirlo e in un gesto sincero di sportività e di umanità hai interrotto per un attimo la festa per andare a consolarlo. Forse l'avrebbe meritato questo riscatto, il tedesco. Ma lo sport purtroppo il più delle volte non mente: la porta era chiusa, la chiave perduta, l'esito scritto nelle stelle. E così è stato.
