Laver Cup: forma e sostanza

Fino a qualche giorno fa era un oggetto misterioso. Adesso che è stata rivelata al mondo, se ne può finalmente parlare con cognizione di causa.
Laver Cup, dunque. Lo scetticismo c'era, inutile negarlo. Pensavo che le avrei dato un'occhiata distratta, più o meno come alla già defunta IPTL. Si sentivano molti commenti di sufficienza: "Sarà una buffonata", "Solo un enorme giro di soldi"...
Ebbene: a me è bastato accendere la TV e vedere quel campo nero, con due sole macchiette di colore rosso e blu rappresentate dalle maglie dei giocatori, per cambiare idea. Folgorata. Quando la copertina contribuisce a far vendere il prodotto...
E'
chiaro che c'è dietro un'accuratissima preparazione e gestione
dell'evento. Ci sono idee ed obiettivi chiari e precisi. E certo anche
che contano tanto gli sponsor, e tutto sommato l'operazione è
commerciale. Però è fatta benissimo. Chi ha allestito quella scenografia
effetto vintage è un professionista della fotografia, si vede. E coloro
che sono stati coinvolti han fatto mostra di aver capito altrettanto
bene: la faccenda va presa sul serio.
Sicchè
la copertina, una volta aperto il libro, si è dimostrata tutt'altro che
ingannevole. Non è mera apparenza: dentro ci si scoprono un sacco di
cose interessanti.
Quando si dice che la forma è sostanza...
Perchè, alla fine, io i match li ho visti tutti. Non integralmente, perchè gli orari e le esigenze domestiche non me lo consentivano. Però ho visto tutto quel che ho potuto: e mi è piaciuto. Tanto per cominciare, tutte partite vere, solo poche concessioni ai lazzi, e per lo più dalla panchina del "Mondo". Sul campo, davvero minimo spazio al mero show: anche i punti di spettacolari avevano dietro l'obiettivo di vincere. Forse giusto il doppio è stato un po' più frufru, ma con Kyrgios in campo non ci si poteva aspettare molto di diverso. Tuttavia lo sguardo incupito di Nadal sconfitto faceva capire quanto gli rodesse. Rafa non ci sta a perdere neanche giocando a freccette con i bambini dell'asilo!
I singolari, invece, con tutti quei tie-break, sono stati all'insegna del massimo equilibrio. E, ribadisco, della serietà e della professionalità. I giocatori sembrano sentirsi un po' come in Coppa Davis, dove non giocano per sè, ma per la squadra: e questo, da una parte, li responsabilizza, ma dall'altra li tranquillizza, perchè sanno di non esser soli. Sono condizioni mentali che contribuiscono all'equilibrio, perchè creano il giusto mix tra tensione (impegno, serietà) e serenità.
Come dicevo, non ho visto tutto di tutto, ma il secondo match sì, dal primo all'ultimo 15. Piccoli privilegi di un venerdì pomeriggio domestico che consente ampie concessioni allo svago... e molta curiosità di vedere come la sarebbe cavata in questa situazione uno come Dominic. Per cui ho un debole - lo confesso apertis verbis - e anzi, forse dire "un debole" è piuttosto riduttivo: quindi non volevo lasciarmelo sfuggire. Perchè dopo gli entusiasmi che mi aveva acceso in primavera, culminati nella partita di Roma con Nadal, che è stata per me un'autentica apoteosi, non me l'ero goduto più. Avevo solo sofferto a bestia per tutte le partite buttate nel WC nell'estate nordamericana. Ed ero un po' preoccupata per le sue sorti.
Invece
ieri mi è piaciuto un sacco. Perchè ha avuto pazienza, non ha voluto
strafare, ha cercato di metterci una pezza quando piovevano le sventole
di servizio di Isner, ha servito benissimo e sbagliato pochissimo.
Secondo me, per una volta, tatticamente è stato ineccepibile.
Probabilmente, è stato molto ben consigliato. Ma ha dato ascolto, con il
rispetto per in pareri autorevoli che lo caratterizza, e messo in
pratica.
Sicchè non ha mollato di una frisa quando ha perso quel tie-break da venti minuti e trentadue punti. Ha ripreso il secondo set come nulla fosse, anzi pure meglio del primo. Mentre a poco a poco la buriana si placava e la macchina da ace dall'altra parte si inceppava. Bastava aspettare: sembrava ne fosse certo, Dominic, e non attendeva altro che lo spiraglio. Apertosi il quale, la partita è diventata sua.
Sono
quasi sicura che una partita così a Washington, a Toronto o a New York
l'avrebbe persa. Però sta volta c'erano Rafa e Roger in panchina: il
primo a fare un gran tifo, e il secondo pronto (anche) a fornire
consigli tecnico tattici, oltrechè supporto. E comunque il tutto in
un'atmosfera di compostezza, di aplomb quasi, in contrasto evidente con
il clima caciarone e ridanciano del resto del mondo. Come e dire, di
nuovo: forma e sostanza. Le cose si fanno seriamente, e il risultato si
porta a casa. Molto bene!
Quindi, la prima puntata ha convinto: scritto bene, recitato meglio. Vedremo tra poco se il secondo capitolo sarà all'altezza. Le premesse ci sono tutte.