David, ovvero dell'invisibilità

David Goffin è uno dei giocatori di cui, in assoluto, si parla meno nel circuito: non se ne parla sia che vinca sia che perda, non se parla nè in caso di presenza nè in caso di assenza. In tutta l'ultima annata, direi, ha conquistato i titoli maggiori quando si è infortunato alla caviglia in occasione di uno sventurato inciampo nei teloni del Roland Garros. E anche in quel caso, l'eco si è spenta ben presto: nè risulta che si sia sviluppata una polemica o una causa milionaria contro gli organizzatori, come certe sue colleghe (vero, Bouchard?) non avrebbero esitato a intraprendere.
Persino trovare sue immagini sul web per corredare quest'articolo non è stato semplicissimo, nel senso che - a fronte dell'abbondanza offerta dal www per molti altri suoi colleghi - qui la scelta è stata relativamente obbligata. E in Belgio, il suo paese che mai aveva avuto un giocatore (maschio) di tale livello, per quanto sia certamente apprezzato e stimato, non è esattamente l'idolo delle folle, superato in popolarità da campioni degli sport più amati e diffusi.
In effetti a guardarlo in campo e fuori, e a sentirlo parlare, un po' si capisce il perchè. Perchè per tanti aspetti sembra uno di una normalità sconcertante, quasi mediocre: tra quegli straccetti grigi che gli cuce addosso l'Asics, quegli occhi chiari chiari e i capelli biondini con la riga da bravo ragazzo, un'altezza che l'ATP stima sui 180 centimetri, ma pare piuttosto generosa, David non ha nulla "in eccesso": non abbastanza fenomeno, non abbastanza campione, non abbastanza personaggio. Almeno in questo nostro mondo dominato dall'apparenza e dall'esasperato bisogno di essere notati, sono handicap che lo costringono a una quasi sostanziale invisibilità.
Eppure David avrebbe qualche motivo per far parlare di sè: per restare alla più recente attualità, due titoli in due settimane, il secondo dei quali - il 500 di Tokyo - rappresenta il suo alloro più prestigioso; rientro in Top 10, a distanza di qualche mese dalla sua prima fugace apparizione in febbraio; seconda finale di Coppa Davis in tre anni, conquistata certo non da solo, ma in ogni caso in buona parte riconducibile al suo apporto.
E questo, appunto, solo per restare all'attualità, perchè Goffin non è proprio un carneade sbucato dal nulla. Addirittura già nel 2012, al suo esordio Slam, a Parigi, supera in successione la ventitreesima testa di serie Radek Štěpánek in cinque set, l'ex top 10 Arnaud Clément e il polacco Łukasz Kubot, fino a trovarsi di fronte niente meno che Roger Federer al quarto turno: al suo idolo giovanile, riesce anche a strappare il primo set, prima di perdere i tre parziali successivi. Certo, dopo quel primo exploit, seguiranno fasi difficili, culminate con un infortunio che a settembre 2013 lo costringe ad interrompere la sua annata; il 2014 però è l'anno di una lenta e paziente risalita a suon di challenger, che lo premierà con il primo titolo del circuito maggior (Kitzbuehel) e che gli varrà a fine stagione il riconoscimento ATP per il miglior "comeback of the year".
E la carriera di David prosegue sempre così, con una serie di risultati di prestigio, alternati a momenti di difficoltà (per lo più dovuti a problemi fisici), nessuno dei quali però assume mai la dimensione di qualcosa di eclatante, almeno a livello mediatico: due semifinali consecutive nei 1000 primaverili in USA nel 2016 e i quarti Slam a Parigi, sempre nello stesso anno, sono solo alcune delle sue "perle". Traguardi che in pochi possono vantare. E che però non fanno più di tanto breccia nel grande pubblico.
Anche quest'anno riparte più che bene, con il clou dell'eliminazione inflitta a Djokovic a Montecarlo. E poi il crack alla caviglia già raccontato, la decisione di saltare tutta la stagione sull'erba e di riprendere dalla terra rossa europea, su cui però gli esiti non sono felicissimi, così come sul suolo nordamericano. Infine il ritorno alla grande in Oriente, con appunto due titoli in due settimane. E la conquista di un "posto al sole" nella Race che porta a Londra, in buona posizione per la sua prima qualificazione: meritatissima, se si considera il lungo stop in un momento in cui era comunque lanciato e in fiducia.
Proprio il Master rappresenta in un certo senso la cartina di tornasole della sua visibilità: perchè in realtà lui ci è già andato a Londra, entrando dalla porta di servizio per sostituire Monfils infortunato nell'ultimo match del Round Robin, e lo ha pure giocato, ovviamente perdendo, perchè non aveva nessuna velleità. Tappabuchi, chiamato giusto per non lasciare la casella vuota: fosse stato chiunque altro, sarebbe stato uguale, non se ne sarebbe accorto nessuno della differenza.
Ecco, questa è un po' la parabola di David. Ma in fondo probabilmente lui stesso non ne è dispiaciuto più di tanto: per lui conta la sostanza, il lavoro, il risultato. E si può dire che alla fin fine questo atteggiamento paghi. Anche se non porta titoloni di prima pagina.