Ciao ciao Masha?

09.07.2019

Wimbledon, 2 luglio. Una settimana fa, esattamente. Il torneo ha appena preso il via e già le sorprese non sono mancate. A fare il botto, nel primo turno femminile, è l'uscita di scena di Naomi Osaka, due Slam in bacheca, ex Numero Uno al mondo appena detronizzata. 

Nella stessa giornata, però, saluta i Championship anche la Numero Ottanta. "E che sarà mai?", commenta l'incauto... Be', quella Numero Ottanta risponde al nome di Maria Sharapova. E fino a qualche decina di mesi addietro, sarebbe stata la sua sconfitta di primo turno a far notizia. Ora non più: è apparsa di sfuggita, insieme a tante altre. Anzi, le successive eliminazioni eccellenti a raffica hanno quasi fatto perdere la memoria della sua.

Eppure il passaggio non dovrebbe rimanere del tutto inosservato, per quanto la stretta attualità incalzi. Forse ci sarà tempo a fine torneo per rifletterci un po', da parte dei media. Io vado contro corrente... E ne parlo ora.

Il fatto che la notizia non abbia fatto... notizia è una spia bella luminosa su quanto sia crollata la considerazione mediatica di quella che, dietro a Serena, è stata sicuramente la tennista più famosa del decennio, e molto al di là dei meriti sportivi. Che pure sono innegabili (cinque Slam non sono da tutte!), eppure altrettanto innegabilmente inferiori alla potenza commerciale della (ex?) "tigre" siberiana. Masha era una che faceva parlare e scrivere di sè anche quando non vinceva: gli ultimi suoi successi Major risalgono ormai alla primavera 2014, eppure fino alla squalifica per Meldonium era lei ad essere contesa dagli sponsor, era lei a fatturare milioni su milioni.

Oggi, cinque anni dopo, Maria non va quasi più in prima pagina per meriti sportivi: non che sia totalmente sparita, ma che vinca (poco, pochissimo) o che perda, non fa molta differenza. Di rientro dalla squalifica, non è mai più stata neanche lontanamente parente di quel che era: il doping ne ha sporcato l'immagine, ma soprattutto la carriera non è più decollata. La forzata e prolungata assenza dai campi di gioco ne ha spuntato l'arma forse più pericolosa: la "garra", lo spirito agonistico, il rifiuto della sconfitta. Quante ne aveva vinte Maria in passato dopo esser stata sull'orlo del baratro! Ma i suoi pugnetti, i suoi "c'mon!" a pieni polmoni, il suo grunting a tutto volume, le sue occhiatacce assassine che mettevano tanta soggezione alle sue rivali... sono tutti ricordi del passato. Esistono ancora, sulla carta, ma sono come parodie, controfigure: non fanno più l'effetto di un tempo.

Al termine della squalifica, nell'aprile 2017, i tornei se la contendevano, elargivano wild card a piene mani. Lei non vedeva l'ora di tornare in campo, a riprendersi ciò che, secondo il suo punto di vista, le era stato ingiustamente usurpato. Ma il ritorno fu subito irto di difficoltà, dalle avversarie con dente avvelenato contro di lei e ciò che rappresentava, alla desuetudine alla lotta, ad un fisico improvvisamente assai più fragile che in un passato, peraltro, già travagliato. E così le sue partecipazioni ai tornei si sono fatte presto più discontinue, spesso interrotte da ritiri dell'ultimo minuto o walkover ad evento in corso, talvolta intervallate da sempre più lunghe pause lontano dai campi. 

Ogni volta Maria ha detto di voler tornare, di non volersi arrendere. Ma, in oltre due anni, ha arricchito il suo palmarès di un misero torneino, Tianjin, nell'ottobre 2017 e nulla più. Ha attraversato il momento migliore, forse, nella primavera di un anno fa, quando tra la semifinale e Roma e i quarti a Parigi raggiunse un paio di risultati ancora degni della sua fama, ma senza dare mai l'impressione di poter tornare davvero quella che fu. Ha sfiorato, per un attimo, la Top 20, ma per lo più ha sempre galleggiato tra il 30 e il 40. E quest'anno è andata sempre peggio: assente lunghi mesi, ha saltato tutta la stagione su terra, perdendo conseguentemente posizioni su posizioni, tanto che - ora com'è ora - sarebbe fuori dalle entry list di Premier e Mandatory. E la pioggia di wild card dei primi mesi non è detto che si riproponga con quell'intensità (ha però forse ancora qualche occasione di giocare con il ranking protetto, per via degli infortuni).

Io a Wimbledon non l'ho vista. Ma un paio di settimane prima, a Maiorca, sì. E mi è parsa una giocatrice quasi irriconoscibile: lontanissima anche solo da quella, seppur sconfitta, almeno battagliera, della semifinale di Roma 2018. Molto distante da una condizione fisica accettabile, persino sovrappeso, lei che da quel punto di vista è sempre stata impeccabile. Nervosa, sfibrata, molle, per nulla reattiva. Persino imbruttita, proprio lei! Gli anni passano per tutte, ma quel suo viso un tempo luminoso appare ora davvero segnato dalle fatiche e dalle pene ben più di quanto suggerirebbe l'anagrafe.

Maria ha compiuto da poco trentadue anni e, di questi tempi, non sono certo un'età da pensione. Ma nel suo caso sembrano pesare molto di più che per la maggior parte delle sue colleghe. Perché la sua carriera è stata davvero lunghissima - a diciassette anni con quel suo improvviso Wimbledon divenne subito una star! E molto complicata, segnata da tante pause e ritorni, ben prima dell'affaire Meldonium. Per costruirla, come raccontato da lei stessa con dovizia di particolari, Maria ha sacrificato tanto della sua infanzia ed adolescenza: di fatto, non le hai mai vissute come tali. Tutto questo, ad un certo punto, presenta il conto. La sensazione è che sia arrivato il momento per Lei di pagare tanto, forse tutto, di questo conto.

Si trascina Maria, ultimamente. Davvero non pare lei. A Wimbledon ha perso con Pauline Parmentier una partita quasi vinta, finendo per cedere il secondo set, dopo aver dominato il primo, e ritirandosi poi sotto 5-0 al terzo. Ennesimo problema fisico, pare. Ennesima spugna gettata. Stanno diventando davvero tante, troppe. 

Non mi è mai stata simpatica, la Siberiana, a parte forse in quel lontanissimo Wimbledon in cui stupì sé stessa e il mondo. Troppo personaggio, troppo donna immagine, troppo costruita fuori dal campo, quanto troppo "violenta", nei colpi, nell'atteggiamento, nel grunting in campo. Sicché nessuna sua sconfitta mi è spiaciuta, mai.

Però adesso inizia a farmi un po' pena, sinceramente. Costretta a scendere dal suo piedistallo, relegata al rango di comune mortale, sembra proprio spaesata. Quella Masha che conoscevamo non c'è più, l'addio è certificato. 

Se avrà ancora voglia di giocare, ritrovando un briciolo di umiltà, accontentandosi di quel che verrà, potrà forse ancora prolungare la sua carriera. Ma sembra molto difficile: non pare il tipo da galleggiare. Ha tanti affari per le mani, un patrimonio da gestire, forse una famiglia da metter su... Le motivazioni per restare e penare sembrano risibili, anche a fronte del suo grande passato che - lei lo sa benissimo - non tornerà mai più. Lei non lo dice ma... forse la fine della sua storia sportiva non è mai stata così vicina. Time to say goodbye?


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